Con le sue «forme» fa le scarpe al mondo

Per vent'anni fa il dipendente: parte come perito elettrotecnico in una società di torni a controllo numerico, finisce come direttore generale di un'azienda specializzata in macchine complesse per i carrelli di atterraggio dei Boeing. Poi Roberto Carlone entra in collisione con la proprietà, svizzera, in merito a un progetto in grado di rivoluzionare il modo di realizzare forme per calzature. Scontro duro. Decide allora di dimettersi creando nel 1996 la Newlast e sviluppando una tecnologia che permette ai formifici di innovare completamente la maniera di produrre senza intaccare la creatività del modellista.
Piccola multinazionale. Oggi la Newlast, leader mondiale nelle macchine per la lavorazione delle forme per calzature, è una minimultinazionale con quartiere generale a Lugano, in Svizzera, uno stabilimento a Tortona, provincia di Alessandria, e dall'inizio del 2006 un secondo stabilimento in Cina, ormai il primo Paese al mondo nella produzione di scarpe. Ma pensa di aprirne un terzo entro l'anno in India in quanto, sostiene Carlone, «la produttività cinese è calata mentre i costi aumentano. In India invece la burocrazia è minore, i dazi all'importazione creano meno problemi e tutti parlano l'inglese».
Occhiali, baffi e barbetta, classe 1954, nativo di Tortona, Roberto Carlone è quindi un imprenditore della prima generazione che sa rischiare: così, quando si mette in proprio, utilizza tutta la sua liquidazione e quella di un amico che da sempre è con lui, Ermanno Colombo. Ma nello stesso tempo sa anche apprezzare la qualità della vita: da dieci anni abita a Lugano, gioca a golf, dipinge e suona il pianoforte. Insomma, non è di quegli imprenditori che stanno in azienda anche il sabato.
Figlio di un autotrasportatore, una sorella che fa la parrucchiera e un matrimonio alle spalle, Carlone inizia a lavorare a 22 anni alla Graziano di Tortona, a quei tempi leader in Europa nelle macchine a controllo numerico; quindi è alla Gildmeister di Brembate, una società tedesca di macchine utensili, poi alla Cmt di Tortona, in seguito diventa responsabile tecnico della Castel di Castellanza, infine nel 1993 è assunto come direttore generale del gruppo San Rocco di Solaro, alle porte di Milano, uno dei grandi produttori mondiali di macchine utensili. Questo gruppo, passato proprio in quel periodo sotto il controllo di una società svizzera, produce macchine per l'auto e l'aeronautica ma sin dagli anni Cinquanta produce anche, in condizioni di monopolio mondiale, macchine per realizzare forme per calzature. Macchine una volta competitive, ma negli anni Novanta obsolete. E in crisi.
Da qui il problema: come evitare che quella nicchia pesi negativamente sui conti dell’azienda?
La dritta americana. Grazie anche all’imbeccata di un tecnico di un importante calzaturificio americano, Carlone comincia a pensarci: la forma è il cuore della scarpa ma a metà degli anni Novanta la sua produzione è ancora del tutto artigianale. È ottenuta manualmente da un modellista che lavora un blocco di legno di carpino, quindi duro, sulla base delle specifiche del design del calzaturificio. L'uomo crea un solo modello, di solito il numero 42, che poi viene ingrandito o rimpicciolito da copiatori meccanici per avere gli altri numeri. Solo che questo modo di lavorare pone problemi di precisione, pone soprattutto problemi di logistica per quelle multinazionali che, ad esempio, hanno la casa madre negli Stati Uniti, realizzano il progetto a Montebelluna e poi producono in altri Paesi. E quindi le difficoltà di avere prodotti standard sono molte.
Le «regole» riscritte. Carlone si mette in testa di riscrivere totalmente il processo di produzione delle forme per calzature. Che non è semplice. Anzi, sostiene, «fare la forma di una scarpa risulta molto più complesso che realizzare testate di un motore, carrelli di atterraggio, barche. Ed il motivo è che la forma è il frutto dell'abilità del modellista». Che vuol dire? «Una macchina a controllo numerico è gestita da un calcolatore che permette di trattare tutte le informazioni geometriche necessarie per realizzare l'oggetto finito. Ma in questo caso nessuna macchina a controllo numerico era in grado a quei tempi di affrontare la lavorazione di questi pezzi in quanto il lavoro di un artista non è descrivibile con una relazione geometrica». Carlone si convince della bontà della sua idea. E per avviare la ricerca e la sperimentazione propone all'azienda un budget ridotto di investimento iniziale, appena 200 milioni di lire. Risultato: la proprietà lo boccia pensando che un investimento così basso non può portare a risultati significativi. E allora Carlone si dimette.
Nel febbraio 1996 costituisce la Newlast. Che vuol dire «nuova forma». Ha venti milioni di capitale sociale, un capannone di 50 metri quadrati in affitto, una segretaria, due montatori e un socio, quell'Ermanno Colombo che ha solo un paio d'anni meno di lui (ma entrambi sono nati lo stesso giorno, il 31 marzo) ed è un tecnico meccanico. Il progetto iniziato nel gruppo San Rocco va così avanti, sono realizzati i primi prototipi con il contributo agevolato della Regione Piemonte in base alla legge 54 (due milioni di euro, tutti restituiti), finché il prodotto viene presentato nel maggio 1997 al Simac, la fiera di Bologna dedicata alle tecnologie per le calzature. Anzi, i prodotti sono due: un digilizzatore che copia la forma fisica trasformandola in una nuvola di punti elettronici e una macchina di lavorazione che, chiarisce Carlone, «riceve questa nuvola di punti, quindi riproduce fedelmente il modello e poi, applicando tutti i fattori di scala, permette di produrre scarpe più grandi o più piccole». Ed è subito un successo in quanto i formifici e i calzaturifici ottengono produzioni più precise e maggiori soluzioni creative. In soli sei anni il giro d'affari s'impenna, passando da uno a 19 milioni di euro.
La Newlast continua a sviluppare una ricerca esasperata, il 10% del fatturato, che tocca un po' tutta la filiera calzaturiera. Tanto più che si tratta di una filiera legata, dice Carlone, «a sistemi poco funzionali». Così produce macchine a controllo numerico per eseguire la sgrossatura e la finitura delle forme in tutte le taglie richieste; sviluppa originali soluzioni in grado di gestire l'esecuzione del modello in abbinamento con le sue principali componenti, il tacco e la suola; elabora un software capace di eseguire il progetto della forma come lo vuole il modellista. Viene poi acquisita un’azienda fallita a Lonate Pozzolo, provincia di Varese, i dipendenti superano il centinaio, la rete commerciale è irrobustita, in particolare in Cina. Con i cinesi, diventati i maggiori produttori di calzature con oltre sette milioni di pezzi rispetto ai dodici realizzati in tutto il mondo, che chiedono addirittura a Carlone «un sistema in grado di fotografare e copiare le scarpe». Ricevendo sempre una risposta negativa.
L’epidemia Sars. Nel 2002 la Newlast apre le porte a un fondo di investimento della Dresdner Bank. Anzi, Carlone e Colombo cedono il 60% del capitale a questo fondo. E si trovano di fronte ad un progetto di sviluppo molto spinto: arrivare in tre anni a 50 milioni di fatturato. Solo che proprio nel 2002 esplode in Cina la Sars, la forma atipica di polmonite che in vari casi si rivela mortale; nello stesso tempo i cinesi si ritrovano un euro più forte che li svantaggia nel cambio con il dollaro. E in appena sei mesi il mercato cinese si blocca, la Newlast produce solo per il magazzino e il giro d'affari cala paurosamente: dai 19 milioni del 2002 prima a 13, quindi a 9, in seguito a 4,5. Così l'azienda deve ricorrere alla cassa integrazione.
Finalmente la svolta. Poi nel 2005 la svolta: Carlone e Colombo riacquistano la maggioranza della Newlast e portano la battaglia direttamente in Cina aprendo nell'aprile 2006 uno stabilimento nei dintorni di Canton. È in grado di produrre macchine per il Far East, il Messico e la Turchia mentre quelle più sofisticate sono realizzate a Tortona.
Oggi la minimultinazionale ha 60 dipendenti, un fatturato di 7,5 milioni di euro con l'export che incide per il 60%.

Ma dal momento che le grosse aziende di scarpe hanno già trasferito parte delle loro produzioni in India, la Newlast ha deciso di seguirle: aprirà nella seconda metà dell'anno uno stabilimento a Madras, il distretto indiano delle calzature. E intanto Carlone già pensa come realizzare macchine in grado di sostituire il taglio della pelle, fatto ancora manualmente.
(122. Continua)

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