Ma sui divorziati il passo è più corto della gamba

La sofferenza di chi non può ricevere l’Eucarestia sarà anche "un dono" ma molti di loro sono stati costretti a compiere quella scelta dolorosa

Ma sui divorziati il passo è più corto della gamba

Il Papa ha detto: «Lo Stato è a servizio e a tutela della persona e del suo “ben essere” nei suoi molteplici aspetti, a cominciare dal diritto alla vita». Poi ha affermato che: «La legislazione e l’opera delle istituzioni statuali debbano essere in particolare a servizio della famiglia, fondata sul matrimonio e aperta alla vita». Ma, prima ancora, aveva dichiarato: «La libertà non è un privilegio per alcuni, ma un diritto per tutti, un diritto prezioso che il potere civile deve garantire».

Ebbene, come si conciliano queste convinzioni, proposte dal Papa come fondamentali e progettuali per lo Stato che è venuto a onorare con la sua presenza, con la spiegazione - traumatica per chi si aspettava un’apertura - «i divorziati sono nel cuore della Chiesa, non fuori, anche se non possono ricevere i sacramenti»?
Cercando poi di mitigare questo severissimo ostracismo, con l’offrire la consolazione che la sofferenza dei divorziati, cui si rifiuta l’Eucarestia, «è un dono, non solo un tormento». Aggiungendo, ancora, che è importante per loro seguire la liturgia, così possono unirsi spiritualmente a Cristo, anche se non partecipare alla mensa della più ampia collettività religiosa.

È un po’ come dire che un passante molto sofferente chieda ospitalità, e il padrone di casa lo inviti a entrare con molta generosità, per poi aggiungere, però, «ma a tavola con noi non ti siedi». E, tutto ciò, mentre gli altri commensali, rendendosi conto della grande sofferenza dell’escluso, considerano il suo dolore «un dono che deve essere vissuto comunitariamente».
Trovo molto interessante, per molteplici aspetti, la figura di Papa Ratzinger; in particolare, egli è molto istruito e studioso. Come capo di uno Stato estero, qual è il Vaticano rispetto all’Italia, ha bene individuato nei suoi discorsi i principi di libertà che definiscono la nostra Costituzione. Ha sostenuto, infatti, con vigore, che la libertà non è un privilegio, ma un diritto per tutti; e lo Stato deve garantirlo, perché prezioso.

In italia, dunque, c’è il diritto di divorziare, come di sposarsi; nel governo di ciascuno della propria libertà, c’è l’obiettivo del «ben essere»; ogni individuo è «aperto alla vita» sia con il matrimonio sia con il divorzio. Lo Stato italiano consente un nuovo matrimonio (civile, ovviamente) dopo il divorzio.

Lo Stato del Vaticano, no. Discrimina i divorziati, li chiude alla vita, impedendo loro di risposarsi e di accostarsi ai sacramenti, fondamentali nel «ben essere» di chi crede.
Si illude, il Papa, al pensiero che il matrimonio possa essere preservato con una buona terapia preventiva, mediante la opportuna educazione da parte dei genitori e l’opera dei parroci, destinati a far capire alle coppie che «l’innamoramento deve fermentare e crescere e maturare».

Qualcosa, infatti, è cambiato; bisogna tenerne conto. L’aspettativa di vita è raddoppiata negli ultimi duemila anni; se si arriva anche a 90 anni, non si può escludere di sposarsi due o tre volte senza che necessariamente muoia il coniuge. Gli individui crescono con la convinzione di avere un diritto «congenito» nell’utilizzare i diritti che lo Stato garantisce. Il divorzio, però, si può subire, oltre che deciderlo. La libertà di «ben essere» può venire pregiudicata da un marito violento o da una moglie mascalzona. Anche cattolici. In certi casi, il divorzio è indispensabile per tutelare la sanità psicofisica dei figli. Dunque, il divorzio, non è sempre una scelta «dolosa», contro il credo religioso e il sacramento del matrimonio.
E allora, perché Papa Ratzinger continua a fare il passo più corto della gamba e a non praticare, anche a favore dei divorziati cattolici, quello spirito di autentica accoglienza, solidarietà e misericordia che si vuole e si dice caratterizzi la Chiesa? Se un cattolico divorziato viene invitato, dal Papa, a fare la comunione con Cristo ma non con la Chiesa, significa forse che la Chiesa si sente superiore a Cristo? O, quelle del Papa, sono affermazioni politiche a favore del suo Stato, dimenticandosi così di tutti i cittadini religiosi del resto del mondo?

Anche lo Stato del Vaticano difende il diritto alla vita in tutte le sue forme: lo scegliere, però, di vivere un’altra vita, per amore di

un’altra persona, diversa da quella sposata, non deve avere come sanzione la perdita di non poter partecipare più all’amore collettivo per Cristo.
E, invece, così avviene. Perché la Chiesa giudica, vieta e impone. Cristo, no.

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