Il suicidio della pentita «voluto» dai genitori

Il suicidio della pentita «voluto» dai genitori

La «marescialla» non ce la faceva più a vivere in quel modo. Perché la sua, ormai, non era più vita; la «marescialla» era solo un cadavere che camminava, e lei lo aveva capito da tempo. Così il 20 agosto scorso la «marescialla» si è suicidata bevendo acido muriatico: una fine orribile, per una donna abituata all’orrore.
Lei era Maria Concetta Cacciola, 31 anni, figlia di Michele Cacciola, cognato del boss Gregorio Bellocco. Ma - da quando aveva deciso di diventare una collaboratrice di giustizia - nessuno più la chiamava Maria Concetta: per tutti era diventata la «marescialla», un marchio di infamità che, nella Calabria della ’ndrangheta, equivale alla condanna a morte. Imperdonabile l’«errore» di Maria Concetta: aver rivelato ai giudici affari criminali e omicidi della cosca Bellocco di Rosarno (alleata dei Pesce), una delle ‘ndrine più potenti.
Ieri, su ordine della Procura della Repubblica di Palmi, sono stati arrestati Michele e Giuseppe Cacciola e Anna Rosalba Lazzaro (rispettivamente padre, fratello e madre di Maria Concetta). Secondo l’accusa avrebbero «portato la donna a togliersi la vita attraverso reiterati atti di violenza fisica e psicologica»; inoltre «le avevano fatto scrivere, sotto la minaccia di non farle più vedere i suoi tre figli, una lettera di ritrattazione di quanto aveva raccontato ai magistrati antimafia». Testimonianza che aveva poi portato all’arresto di undici affiliati alle cosche, blitz che trasformò l’esistenza della «marescialla» in un inferno senza fine.
Già dal 2010, quando arrivarono le prime lettere anonime che la accusavano di intrattenere una relazione extraconiugale, Maria Concetta era stata ripetutamente picchiata dai familiari, in particolare dal fratello e dal padre. Lei li supplicava: «Voglio separarmi da mio marito...». Ma il padre, come risposta, le puntò la pistola alla tempia, urlandole contro: «Questo è il tuo matrimonio e te lo tieni per tutta la vita!». Poi pressioni psicologiche e fisiche di ogni genere. Un’esistenza - quella di Maria Concetta - segnata dal male già all’età di 13 anni, quando fu data in sposa a un uomo che non amava. E per lei iniziò la segregazione. Dal matrimonio sono nati tre figli che attualmente hanno sedici, dodici e sette anni. Ha scritto il gip: «Un dramma intriso di quel senso d’onore che non si fa cruccio di procedere all’annientamento dei soggetti ribelli che mettono in discussione i valori mafiosi». E quei «valori» Maria Concetta aveva deciso non solo di «metterli in discussione», ma anche di denunciarli nero su bianco. Sola, senza l’appoggio della famiglia. Anzi, proprio con la famiglia che si trasforma nel suo carnefice. A condurla all’estremo gesto sarebbero stati infatti i suoi parenti più stretti: padre, madre e fratello: Michele Cacciola (52 anni), Anna Rosalba Lazzaro (48) e Giuseppe Cacciola (31).
Nel periodo in cui la Maria Concetta era tornata a casa il terzetto l’aveva costretta a ritrattare le accuse, inducendola anche a commettere il reato di autocalunnia, e le aveva fatto registrare un messaggio audio in cui sosteneva di aver inventato tutto, indicando come giustificazione la voglia di scappare di casa.
Le indagini di questi mesi hanno fatto emergere la verità, ovvero che le dichiarazioni che aveva reso ai magistrati erano veritiere ma la famiglia l’aveva costretta a rimangiarsi tutto usando i suoi figli come arma di ricatto («O li uccidiamo o non li vedrai mai più...»).

Maria Concetta Cacciola ha percepito il pericolo che viveva in casa, e ha ricontattato i carabinieri in quei drammatici giorni del suo rientro a Rosarno con l’intenzione di riprendere la collaborazione e portare con sé uno dei figli. Ha chiesto ai carabinieri di aspettare qualche giorno perché il bambino aveva la febbre. Ma non varcherà mai la soglia di casa verso la libertà.
La sua vita è finita il 20 agosto, «bruciata» dall’acido muriatico.

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