Sul caso Gheddafi tutta l’ipocrisia della dottrina Obama

È possibile, mi chiedo, esporre a proposito della Libia (e non solo) un’opinione controcorrente? Ebbene, in proposito, penso che appunto in Libia un governo legittimo stia difendendosi vittoriosamente da un colpo di Stato sostenuto da una minoranza di cittadini. E quando mai, per quale ragione i moti di piazza debbono portare obbligatoriamente alla caduta dei governi? E quando mai per l’agitarsi, le ribellioni di una minoranza la maggioranza deve rinunciare alle proprie idee e accettarne i dettati? Quanto all’interventista (nel caso) Onu, non è tale assemblea costituita in larga parte da Paesi assolutamente non democratici e retti da despoti? Infine, quale interesse può avere l’Italia a schierarsi dalla parte dei golpisti addirittura fornendo le basi per le attività belliche che il consesso internazionale deciderà? La stampa e la politica, dominate dalle «anime belle» e dagli adoratori del «politicamente corretto« che nulla comprendono degli accadimenti e non ragionano minimamente sugli infiniti danni che il loro operare arreca, riguardo all’ Egitto, sono arrivate ad applaudire un colpo di Stato militare, quello che ha causato la caduta di Mubarak! Spero che a Roma qualcuno ancora ragioni. Giorni terribili, altrimenti, ci aspettano.
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Sfondi una porta aperta, caro MdPR. Già ho dichiarato d’essere gheddaffista, posizione oggi più che mai contro corrente e qui si parla d’una corrente globale e nazionalpopolare, roba che quella del Golfo fa ridere. Corrente che accomuna nei suoi vortici anche quanti furono saddamiti e gli altri, coloro che ritengono bestemmia «esportare la democrazia» e gli altri ancora, i pacifisti senza se e senza ma. Quello al quale stiamo assistendo - mi riferisco all’inopinata e repentina invocazione: «Alle armi! Alle armi, cittadini benpensanti!» - è spettacolo sontuoso, caro il mio MdPR. È la realpolitik che si toglie le mutande dell’ipocrisia politicamente corretta manifestandosi in tutta la sua virilità, mi si perdoni la metafora scollacciata. Vado a spiegarmi: punto primo, cogliendo di sorpresa i mamalucchi che ingenuamente (e colpevolmente) credevano che la Libia facesse la fine della Tunisia e dell’Egitto - e cioè che la piazza santa prevalesse, che la «primavera araba» primaveriggiasse ovunque - Gheddafi è diventata una patata bollente. Lo si presume, giustamente, sitibondo di vendetta nei confronti di quanti l’hanno o abbandonato o, peggio, hanno manifestato l’intenzione di trascinarlo (in catene?) davanti al Tribunale dell'Aia. Laddove i vincitori giudicano e condannano i vinti, bella roba. Un tipino come Gheddafi che regola i conti avendo dalla sua il petrolio, la posizione strategica nel Mediterraneo e una certa facilità a trescare col terrorismo, mette la tremarella. Pertanto, onde evitare l’umiliazione di dover tornare sotto la tenda del Colonnello col capello in mano, meglio eliminarlo subito a suon di cannonate. È, questa, la dottrina Obama-signora Clinton, subito abbracciata dall’Occidente (e parte dell’Oriente) virtuoso. Punto secondo, chi resta fuori, chi non partecipa, foss’anche con un aliante o un pattìno, alla «pulizia morale» della Libia - leggi la messa al muro di Gheddafi - non avrà poi il diritto di sedersi al tavolo della pacificazione. Quindi, affrettarsi nell’aderire alla Lega Etica e Bombarola. Non si tratta solo del predominio e controllo del Mare Nostrum, cosa che per altro sta molto a cuore a chi vi si affaccia, ma di spartirsi il bottino (petrolio, commesse, grandi opere, l’immancabile ricostruzione...) in forza dei diritti acquisiti in qualità di «protettori» dei «ribelli». I quali non si sa di che pasta siano, se sinceri democratici, se propensi al pugno di ferro, se compagnucci di Bin Laden, se devoti al messia Obama, se islamici a sangue freddo o se a sangue bollente. Se padella o se brace, insomma.

Poco importa: sono problemi da affrontare in un secondo tempo e questa, caro MdPR, è la realpolitik, la cui prima norma recita: ogni lasciata è persa. E ora tira fuori dall’armadio l’elmetto e parti in guerra (io no, sono riformato).
Paolo Granzotto

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