Sul palco Ibrahim, dal Sudafrica arriva il pupillo di Duke Ellington

Basta un accordo ed è subito poesia. Questo è ciò che sostengono gli estimatori più accesi del pianista Abdullah Ibrahim, sudafricano di Capetown. Sono tanti in tutto il mondo, e non pochi lo ritengono il migliore pianista di jazz e dintorni di ogni tempo, o perlomeno dicono che è il loro preferito fra tutti. Senza dubbio, Ibrahim è diverso da ogni altro e ha la statura di un caposcuola. Così apparve a Duke Ellington che lo ascoltò nel 1963 in un locale di Zurigo e subito lo favorì facendogli registrare un disco: dato il nome del presentatore, fu un successo internazionale. Allora il maestro sudafricano aveva 29 anni. Si chiamava Adolphe Johannes Brand, soprannominato Dollar perché, quando nei jazz club gli veniva richiesto un brano particolare (succedeva spesso) chiedeva come compenso supplementare un dollaro. Girò il mondo e diventò famoso con il nome di Dollar Brand sino alla fine degli anni Settanta. Ebbe allora una profonda crisi religiosa e si convertì all'islamismo.
Ha una seconda casa a New York, affittata dopo la sua fuga dal Sudafrica a causa dell'apartheid che lo costrinse a vivere a lungo fra gli Stati Uniti e il Senegal. Adesso, naturalmente, è ritornato in patria, senza rinunciare alla sua vita nomade per i numerosi concerti da solo, con un piccolo complesso - di solito un trio - o più raramente con una grande orchestra essendo Ibrahim anche compositore, arrangiatore e direttore. Ma gli aficionados lo prediligono di gran lunga da solo, come stasera al Teatro Dal Verme (ore 21) nell'ambito del programma della Milanesiana. Si attendono i suoi magici monologhi con rare soluzioni di continuità, o addirittura senza, dove temi di jazz, o motivi tribali africani, oppure composizioni sue (sono più di tremila, dice) si inseguono l’uno con l’altro: lenti, veloci, dolcissimi o forti come inni di guerra. Qualche volta agli ascoltatori «colti» quel tocco, quel suono e quella tenerezza fanno venire in mente Fryderyk Chopin. «Può darsi - sorride Ibrahim - ma io, quando ho studiato a Capetown e per vari anni ancora, non lo conoscevo».
Un simile musicista è oggi condizionato dalla religione alla quale ha aderito con tutto se stesso. «Quando suono, in realtà io sto pregando» dice. «Per me la musica è preghiera, e perciò chiedo tanta concentrazione al pubblico che mi ascolta. Anzi, voglio dire di più: non sono io che suono, è Allah che suona attraverso di me» (through me: lo pronuncia lento e chiaro, non ci si può sbagliare). A questo punto l'interlocutore laico gli guarda le mani bellissime e manifesta senza volerlo il proprio scetticismo, per cui Abdullah continua: «Ognuno ha il suo modo di perseguire la verità. Se sei “sul sentiero“ non ha importanza quello che fai. Guarda me: io non sono in competizione con altri pianisti: cerco di fare il mio lavoro al meglio perché questo è il mio modo di cercare la verità".


C'è stato un giorno, il 3 novembre 1978, venerdì, in cui Dollar Brand ha incontrato la sua connazionale Miriam Makeba ai Jazztage di Berlino nella Salle Philharmonie, a due passi dal Muro. Lui l’ha accompagnata al pianoforte e insieme hanno cantato Tula Dubula, un tema popolare africano. Posso assicurare che chi ha avuto il privilegio di esserci non l’ha dimenticato e non lo dimenticherà mai più.

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