«Sulle intercettazioni puniti solo i giornalisti»

da Roma

Punire il giornalista per la pubblicazione delle intercettazioni è una «scorciatoia» che non piace ad Enrico Buemi, responsabile giustizia dello Sdi e membro della commissione Giustizia della Camera che ha esaminato il ddl Mastella, pronto ad approdare in aula dopo il 17 aprile. «Il giornalista - dice - è uno strumento di democrazia e può avere solo i limiti della sua coscienza e della deontologia professionale».
Ma si parla di carcere fino a 3 anni e di multe fino a 500 euro.
«È la strada più comoda, non l’unica per impedire le fughe di notizie dalle procure. Non c’è bisogno di indagini per colpire chi pubblica notizie coperte dal segreto istruttorio, ma i veri responsabili sono quelli che portano fuori le notizie. Per tecnica investigativa, interessi obliqui, protagonismo...».
Dicono che è impossibile individuarli perché possono essere in troppi.
«Non è vero: la cerchia è ristretta. I verbali con le intercettazioni può averli il magistrato, la polizia giudiziaria, l’avvocato e l’imputato. E con le nuove tecnologie si può individuare chi “legge” il materiale telematico. Bisogna cercare e punire severamente chi è tenuto al segreto o alla custodia di atti secreati, invece di ridurre la capacità di controllo democratico dell’opinione pubblica sui comportamenti delle istituzioni».
Perché si è arrivati ad un testo così punitivo per i giornalisti e che può diventarlo di più?
«È il clima psicologico creatosi per i fatti di cronaca più recenti. C’è molta preoccupazione, a volte giustificata perché certa stampa ha anche esagerato nel diffondere notizie senza rilevanza penale né interesse di cronaca, che soddisfa solo i pruriti più perversi. Ma se nei verbali ci sono certi fatti, la colpa non è del giornalista che li diffonde, ma del magistrato che non ha selezionato quelli significativi per l’inchiesta. È vero che ci vuole il contraddittorio, ma i tempi non possono essere così lunghi. Comunque, anche il relatore Lanfranco Tenaglia mi ha parlato della sua preoccupazione che prevalga una volontà di repressione nei confronti dei giornalisti».
Parla delle modifiche chieste da An e Fi per inasprire carcere e multe?
«Anche. Due anni fa abbiamo fatto la battaglia contro il carcere a Lino Jannuzzi e c’erano anche quelli di An e Fi. Ora che facciamo, il contrario? È schizofrenia. Ci vuole una linea coerente, che si tratti di amici o no».
Che soluzioni propone?
«Perché non si arrivi a sanzioni eccessive è necessaria una seria autoregolamentazione. L’Ordine dei giornalisti deve fare fino in fondo la sua parte, a garanzia della professione. Deve intervenire al di là della rilevanza penale, anche per contrastare un giornalismo di qualità scadente. E sul versante deontologico ci vorrebbe anche un serio controllo dei direttori che non privilegi solo la vendita delle copie. Si discute anche di chi paga per le rettifiche: il giornalista, il direttore, l’editore? Se è quest’ultimo, temo il rischio censura. Ma per rendere il fatto più pesante sia economicamente che per l’immagine si parla dell’obbligo di fare le precisazioni anche su altri quotidiani di grande rilievo».


Presto il testo sarà in aula: lei che cosa si augura?
«Che non si faccia i furbi, permettendo che l’attività criminale continui, che i verbali circolino fra addetti ai lavori, per pressioni e ricatti, ma senza il controllo dell’opinione pubblica».

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