"La Svizzera è un modello? Merito del maestro unico"

nostro inviato a Lugano

Chi ha paura del maestro unico alzi la mano. Nessuno. Bene, allora visto che sono le 11.30 spaccate può suonare la campanella della fine del primo tempo. Mezza giornata di scuola è archiviata, si riprende fra due ore. Con lo stesso maestro, ovvio. Sciamano in chiassoso ordine sparso, sotto lo sguardo bonariamente severo dell'ispettore Roberto Ritter, i bimbetti delle elementari di Breganzona, appendice urbanistica di Lugano. «Vede, francamente le polemiche sollevate in Italia mi lasciano perplesso - esordisce Ritter, responsabile del Quarto Circondario delle scuole elementari - perché mi viene da pensare che chi si schiera contro il maestro unico voglia coprire, con un cappello pedagogico, un problema occupazionale che si può risolvere in altri modi. La quantità non significa necessariamente qualità. Anzi, molte volte è il contrario. Lo sperimentiamo talvolta sulla nostra pelle anche noi qui in Canton Ticino, quando un docente sceglie il part time e quindi, forzatamente, dobbiamo alternargli un altro docente. Se non c’è affinità didattica tra i due maestri che si avvicendano, se i due maestri non sanno dare agli alunni gli stessi riferimenti, in piena sintonia, allora per i bambini si creano problemi non indifferenti. Con questi presupposti le assicuro che in tutti questi anni nessuno è stato solo sfiorato dall'idea di cambiare modello».

È il modello educativo ticinese. Che porta alle scuole d’infanzia già i piccoli di 3 anni e non di 4 o di 5, come nel resto della Confederazione, ed è invidiato per la sua efficienza da tutti gli altri Cantoni. Il governo di Berna demanda alle amministrazioni comunali la supervisione e l'organizzazione scolastica per gli alunni fino agli undici anni, è quindi il Comune che provvede alle nomine dei maestri e all’assegnamento delle varie cattedre. «La nostra, spiega Sandro Lanzetti, 51 anni, specializzazione in pedagogia all'Università di Ginevra e dal 2000 direttore del centro scolastico più popoloso di Lugano (3.400 piccoli nelle scuole d’infanzia, 1.300 alle elementari, 330 insegnanti), è una scolarizzazione di quartiere per far crescere il bambino tra visi noti e per ridurre al minimo i disagi dei genitori. Ci sono scuole come questa di Molino Nuovo, con dieci classi e duecento alunni, ma c’è anche quella di Monte Bre, dove abbiamo dodici alunni accorpati in un’unica classe che è prima, seconda e terza. Con un unico maestro. Sono esperienze di aggregazione che portano risultati importanti come le settimane di approfondimento ambientale nelle case montane che abbiamo nell'Alto Ticino. Esperienze che sopperiscono, in qualche modo, anche alla semisparizione di certi insegnamenti come l'educazione civica, di cui, anche qui, si sta sentendo nuovamente bisogno». La lingua straniera, in Ticino il francese, introdotta a partire dalla terza elementare, l’ora di religione frequentata solo su espressa richiesta della famiglia e a scelta fra la cattolica e l’evangelica, e poi l'intervento di docenti specialisti solo per materie particolari come il canto o la ginnastica. «Perché - ironizza Ritter - un maestro che offre un'educazione generalista non è detto che sappia anche fare i volteggi alla sbarra, quindi quando il tecnico ci vuole ci vuole».

«C'è solo una correzione di rotta - puntualizza Lanzetti -: il cambio del maestro dopo i primi due anni. Per intenderci cambia solo il nome e il cognome del docente, ma il docente rimane uno. Un correttivo importante, secondo noi, perché può sempre capitare che un alunno non si trovi con quel maestro, o che un maestro non si trovi con uno o più alunni che gli sono capitati. Quindi spesso questa staffetta è salutare per ambo le parti». Il modello educativo ticinese ha metabolizzato in anticipo anche altri problemi che alimentano le polemiche italiane: per esempio l'integrazione dei bambini figli di immigrati. «Nelle scuole di Lugano si parlano 33 lingue differenti - precisa l'ispettore Ritter - perché l’immigrazione è sempre stata consistente, così se non fossimo corsi ai ripari per tempo oggi saremmo in difficoltà.

Il nostro modello prevede che nei primi due anni delle elementari gli alunni di altre nazionalità vengono affiancati da docenti alloglotti per comprendere meglio il nuovo mondo in cui si trovano a vivere».
E poi? «Dopo due anni un bambino è già in grado di cavarsela da solo, mi creda. E così anche per lui quel maestro e solo quel maestro. Unico».

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