Il pensiero debole e la grammatica zoppicante: più che un’alleanza, un destino. Curiosa accoppiata. Il leader contadino un po’ machista e il raffinato ermeneuta orgogliosamente gay. Era da prevedere, però, vista la china presa dal pensatore torinese da un po’ di anni a questa parte. Prima l’amore per un cubista ventenne, poi le marchette al parco Valentino, ora la manetta e la sbarra, forse le ultime e irresistibili attrazioni feticiste per Vattimo. Certo, tra i Dialoghi con Nietzsche del 1961 ai dialoghi con Tonino nel 2009, il passo fa impressione. Anche perché lo avevamo lasciato comunista, immarcescibile supporter del Venezuela di Chavez e della Cuba di Fidel Castro. Non si sospettava invece la fascinazione per Montenero di Bisaccia.
È vero, è da un decennio che il filosofo muta casacca ad ogni cambio di temperatura, roba che nemmeno Paris Hilton gli terrebbe testa. Il bello è che però, mentre annuncia la sua candidatura alle europee per l’Idv, si dice ancora «orgogliosamente comunista». Una contraddizione? Macché, così può sembrare solo a cervelli nella media. Per uno che ha scritto cose come «gli enti si danno all’esserci nell’orizzonte della gettatezza storico-finita di una società», il marxismo-dipietrismo è un concetto elementare. Rimane la curiosità di sentirli discutere a quattr’occhi. Il massimo interprete del pensiero heideggeriano e il politico dei proverbi dialettali, l’intellettuale che dialoga con la metafisica e l’ex pm che fa a botte con la sintassi.
A scanso di equivoci, Vattimo ha già speso parole di ammirazione per il suo nuovo leader. Certo, a modo suo, un po’ naïf: «Sa, Di Pietro non è affatto così bestia come dicono», ha spiegato alla Stampa dal salotto di casa sua. E già è andata bene a Tonino. Con altri suoi leader, in passato, Vattimo è stato di gran lunga meno zuccheroso. Per dire, a D’Alema ha dato del «rottame», ha detto «casalinga» alla governatrice democratica del Piemonte Mercedes Bresso, ha liquidato Veltroni a male parole: «È uno che legge Topolino, di politica non capisce niente».
Ma se la cultura separa la strana coppia Tonino-Gianteresio (il nome di battesimo di Vattimo), il giustizialismo li unisce. L’opposizione dura, come piace a Vattimo, «l’antiberlusconismo adamantino» è un pregio che solo Di Pietro può sfoggiare. Il Pd invece, secondo il filosofo ex diessino, è ormai un Pdc, «una Democrazia cristiana peggiore».
Si annusavano da un po’, ma è stato Di Pietro a cercarlo. Mentre studiava i nomi per le liste, gli devono essere tornate in mente le ultime battaglie di libertà di Vattimo. Quella contro i monaci tibetani, per esempio, colpevoli di ordire un complotto anti cinese «dai connotati razzisti», o il geniale suggerimento al nostro esercito di unirsi ai terroristi iracheni, così da liberare più rapidamente l’area dai pericolosi soldati americani. Oppure, meglio ancora, le invettive del filosofo contro il governo, contro il quale sarebbe lecito «usare ogni arma, a parte le bombe - spiegò Vattimo tempo fa -. Io sarei per la presa del Palazzo d’Inverno armi in pugno, e se ci fossero le condizioni e avessi l’età per farlo sarei in prima fila». Perché lui non è un «non violento assoluto», ma «un non violento prudente». In altre parole, se non si rischia nulla a tirare una randellata in testa a qualcuno, Vattimo la tira volentieri. Un pensatore moderato insomma, che con l’altro moderato, Tonino, non potrà che intendersi alla perfezione.
Vallo a capire, Vattimo. Il pensiero debole, spiega nel suo libro più famoso, «è una filosofia che pensa la storia come una progressiva riduzione della violenza e del dogmatismo». Alla faccia dell’antiviolenza. Vattimo è lo stesso che qualche anno fa organizzava i picchetti all’università di Torino per non far parlare rappresentanti di Israele, e che alla Fiera del Libro giustificava l’esclusione degli scrittori ebrei. Gli ebrei gli piacciono poco, ci finì di mezzo anche Gad Lerner: «A causa della sua giudeità sopporta qualsiasi cretinata americana». Pensiero debole, maniere forti. Ci vorrebbe uno psicoanalista. Forse gli chiederebbe, per spiegarsi l’ultima svolta questurina del filosofo, il rapporto con suo padre, poliziotto calabrese immigrato, scomparso quando Gianteresio era ancora bambino.
Più tardi, la carriera politica di Vattimo sarebbe stata come certi passaggi dei suoi testi: contorta. Prima diessino, eletto a Strasburgo, nel 2004 non viene ricandidato e lui si imbestialisce. Insulta un po’ di dirigenti diessini e passa coi Comunisti Italiani. Non viene eletto e litiga anche con loro, sostenendo che certi «picchiatori» di Marco Rizzo avevano ostacolato la sua campagna elettorale menando chi appiccicava ai muri i suoi manifesti. Scompare dalla politica per qualche settimana, e ricompare poi, in un paesello della Calabria, San Giovanni in Fiore, come candidato sindaco di una lista civica. Ovviamente trombato, sostiene al secondo turno il candidato di Forza Italia. Un percorso politico lineare quanto un tracciato di motocross. Nemmeno Kant ci avrebbe capito qualcosa.
L’Idv è l’ultima giravolta politica del filosofo.
Una svolta inedita anche per Di Pietro. Vattimo sarà il primo gay (dichiarato) nell’Italia dei valori. Un passo epocale per il conservatore Tonino. O forse no.
Quando era ancora magistrato (e Vattimo probabilmente non sapeva nemmeno chi fosse), Di Pietro fece questa dichiarazione alla stampa: «Non sono un politico e non penso di entrare in politica. Ma potete voi escludere la possibilità di vestirvi domani da donna? Tutto è possibile!». Letto oggi, fa un certo effetto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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