Settecentoventicinque anni portati con leggerezza. Merito di chi ha saputo cantare la sua passione o forse di una morte, se pur letteraria, prematura. Perché «Solo chi muore giovane è caro agli dei» amavano ripetevano i greci. E giovane lo era davvero Giulietta quando morì, non aveva ancora 14 anni, mancando ancora una decina di giorni al suo compleanno il 1° agosto. E poiché la vicenda dovrebbe ambientarsi nella Verona del 1303, ecco anche l'anno di nascita: 1289. Dunque 725 anni, rimanendo sempre un'adolescente libera e un po' folle, eterea e sensuale nello stesso tempo, e come tale pronta all'estremo sacrificio piuttosto che rinunciare alle proprie passioni.
Amore e morte, eros e tanatos, un connubio che rende immortale la storia cantata da William Shakespeare, anche se non fu tutto farina del suo sacco. Giulietta e Romeo hanno infatti «antenati» letterali tanto lontani quanto augusti. Una vicenda di due amanti divisi dalla rivalità delle rispettive famiglie, Piramo e Tisbe, la troviamo già nelle Metemorfosi, scritte da Ovidio oltre 2000 anni fa. Altre ancora poi se ne incrociano nei secoli, fino a quando, sullo scorcio del Quattrocento, Masuccio Salernitano compone «Mariotto e Ganozza». La storia, ambientata a Siena, contiene già il matrimonio segreto, il frate complice, la lite mortale, l'esilio di Masuccio, il matrimonio forzato di Gianozza, la pozione e il messaggio smarrito. Mezzo secolo dopo il vicentino Luigi Da Porto scrive sua «Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti» spostando l'azione nella Verona di Bartolomeo della Scala, chiamando i suoi personaggi Romeus e Giulietta. Ci siamo quasi. Shakespeare non avrà che rimettere tutto in ordine e comporre, sembra tra il 1594 e il 1596, «The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet».
Partendo da questi indizi possiamo cominciare di individuare giorno e anno della nascita di Giulietta. Tenendo per buona l'ambientazione di Da Porto dovremmo essere nel 1303, quando appunto governava Bartolomeo della Scala, per cui togliendo i fatidici 14 anni, arriviamo al 1289. Resta il giorno, ma qui e lo lo stesso bardo di «Stratford upon Avon» a chiarire ogni dubbio. Il conte Paride chiede a messer Capuleti, la mano di Giulietta. Il nobiluomo è perplesso, ritiene la figlia troppo giovane, ma alla fine permette al giovane di dichiararsi il giorno dopo, nel corso della tradizionale festa organizzata nel palazzo di famiglia. La madre, felice, fa subito irruzione nella stanza di Giulietta per annunciare il suo assenso alle nozze. Qui trova anche la fida nutrice con cui ha il dialogo chiarificatore. «Tu sai la bella età di questa figlia?» chiede infatti monna Capuleti. «Come no: ve la posso precisare senza sbagliare nemmeno di un'ora» replica la donna, ma prima di aver tempo di risponde, viene anticipata dalla nobildonna: «È vicina ai 14». La vecchia balia sospira: «Quattordici, ci scommetto quattordici miei denti - anche se, a mio dolore, devo ammettere che me ne son rimasti solo quattro - ancora non li compie: il primo agosto. Quanto manca da oggi al primo agosto?». Pronta la risposta della Capuleti: «Due settimane o qualcosa di più». E in questo modo riusciamo anche a datare a metà di luglio la festa in casa Capuleti, in cui incontrerà Romeo, e il tragico epilogo attorno al 20.
Per completare la carta d'identità di Giulietta, non ci resta ora che il suo «domicilio», ma per questo non dobbiamo fare molta fatica, perché è esattamente nel palazzo che ospita a Verona il famoso balcone. Vale a dire in via Cappello 23. Perché la giovane non si chiamava Capuleti bensì Cappelletti. Una famiglia di provenienza incerta, forse Albania, forse Dalmazia, in origine gente di ventura giunta in Italia intorno al 1200. Il nome deriva dai tipici elmi, in acciaio o cuoio, appunto «cappelletti» che saranno poi anche un'unità di cavalleria della Serenissima Repubblica di Venezia, citati anche da Alessandro Manzoni nei «Promessi sposi». In inglese divennero Capulet, quindi Capuleti quando «Romeo e Giulietta» venne tradotto in italiano.
Dopo il loro arrivo, una parte dei Cappelletti si stabilì a Cremona, altri a Verona scegliendo come magione un palazzo a due passi dalla centralissima piazza delle Erbe, lasciando poi il nome alla strada. L'edificio ospiterà in seguito una famiglia di «speziali», quindi un albergo. Neppure tanto bello stando al resoconto che ne fece un viaggiatore d'eccezione, Charles Dickens. Sono nel Novecento si riscoprirono le sue radici letterarie, trasformandolo nella principale attrazione turistica di Verona. Dell'antica residenza è rimasta però solo la torre Duecentesca, mentre lo stesso balcone di Giulietta, diventata nel frattempo una modesta ringhiera di casa popolare, fu «inventato» nel 1937, utilizzando antichi marmi custoditi nei depositi di un museo.
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