«Tanti traslochi e un punto fermo: attaccare tutto ciò che è di sinistra»

«Tanti traslochi e un punto fermo: attaccare tutto ciò che è di sinistra»

di Vittorio Sirianni

Il 28 gennaio del 1974 era un martedì. Il Genoa aveva perso alla domenica in casa col Catanzaro per uno a zero mentre la Samp tornava da Firenze con un successo di due a zero firmato da tal Prunecchi e tal Maraschi. Nel Genoa l’allenatore era Guidone Vincenzi, nella Samp Giulio Corsini (mancato proprio nei giorni scorsi). I rossoblù soffrivano in serie cadetta, la Samp si destreggiava nella massima serie. C’era attesa in città per l’uscita ufficiale de «il Giornale». Il direttore, Luigi Vassallo, mi chiamò e mi disse: «Te la senti di scrivere un pezzo di calcio, equilibrato, mi raccomando». Un invito inaspettato: fu così che il primo servizio sportivo sulle pagine del nuovo Giornale, edizione di Genova, fu firmato «v.s.» (tutto in minuscolo). Per me un motivo d’orgoglio, ma anche di preoccupazione perché contemporaneamente collaboravo anche al «Corriere Mercantile» e il suo direttore, Umberto Bassi, molto geloso dei suoi collaboratori mi fece una mezza scenata («O qui o là»). Poi tutto si accomodò, allora non ero redattore né dell’una né dell’altra testata, ma collaboravo (ero ancora sotto l’ala dell’Italsider), già da un anno mi occupavo di televisione (fui il primo a fondare Telegenova nel settembre del ’74).
Con Luigi Vassallo ero amico da tempo: da quindici anni circa avevo iniziato la mia carriera giornalistica al «Corriere del Pomeriggio» il settimanale del lunedì che faceva capo ad Emilio Taviani, il senatore. Vassallo mi conobbe perché ne era il direttore, mentre a capo dei servizi sportivi c’era Renzo Bidone e le firme di allora erano quelle di Giorgio Sguerso, Riccardo Carovino, Giuseppe Castelnovi e appunto Vittorio Sirianni.
Ma torniamo al Giornale. Quando iniziò la sua avventura eravamo in via Brigata Liguria, di fronte al famoso «Bar degli aperitivi» (che allora era conosciuto come «Cavo»). Uno stanzone, un grande bancone sul quale i giornalisti facevano un po’ di tutto: dalla raccolta pubblicitaria a quella dei necrologi, ai colloqui con i già molti lettori. La prima «formazione» creata da Vassallo era composta da Umberto Merani, Franco Manzitti, Emanuele Dotto, Pasqualino (detto Lino) Martini, Piero Pizzillo, Giuseppe (detto Pippo) Zerbini. Un anno dopo arrivò Mario Paternostro ed altri ancora. In segreteria c’era l’insostituibile Marisa Canale.
Fu a metà degli anni ’70 che Montanelli decise di far uscire un’edizione genovese del Giornale e trovò l’appoggio degli industriali, i quali volevano una loro voce. Sull’altra sponda Piero Ottone aveva (si diceva) spostato a sinistra «il Secolo XIX»: con l’appoggio di Peppino Manzitti presidente allora degli industriali ecco lo «scoop» del nuovo foglio montanelliano. Frequentavo molto la redazione, anche se solo da collaboratore e c’era allora in tutti un entusiasmo fortissimo: Vassallo con Merani erano gli uomini di punta. E tutti si chiedevano come potevano due tipi così diversi andare d’accordo. Vassallo, cattolico integralista, democristiano vero, tavianeo assoluto, Merani ateo, laico, socialista. La verità è che entrambi amavano le avventure pericolose: Merani lavorava al «Lavoro», era un opinionista politico di vaglia, Vassallo dominava la scena genovese anche come grande esperto di trasporti e di economia (fu lui a lanciare il mitico «Corriere dei trasporti»). I due si incontravano spesso, a chiusura dei giornali, al «Cantinone», dietro la chiesa di Santa Zita e pare che proprio a quei tavolacci nacque la decisione di unirsi per dar vita al Giornale. Al «Cantinone» andavano anche le soubrettine delle grandi riviste di allora (Macario, Dapporto, Chiari) che al termine dello spettacolo al teatro Augustus, si infilavano nella bettolaccia, molto suggestiva in verità.
Erano anni difficili quelli: stava per scoppiare il terrorismo e gli anni delle Brigate Rosse. Ricordo che c’era quasi paura a girare col Giornale sotto braccio, perché allora Montanelli era considerato un «bieco fascista», tanto è vero che nel maggio dell’anno dopo (’77) venne gambizzato, così come vennero colpiti il vice direttore del «Secolo XIX» Vittorio Bruno. Ricordo che i cronisti di allora (Paternostro e Manzitti soprattutto) vivevano momenti di tensione, perché la redazione del Giornale poteva essere bersaglio dei rossi: e una sera infatti fu sparato un colpo di pistola contro i vetri della redazione.
Ricordo la strategia che aveva imposto Vassallo, un vero anticomunista: bisognava attaccare tutto quello che era di sinistra (ma allora la parola «sinistra» aveva un senso). Il sindaco era Fulvio Cerofolini, in Provincia il presidente era Elio Carocci (comunista), soprattutto gli strali di Vassallo erano diretti all’assessore alla cultura Attilio Sartori (pensate, era rosso anche di capelli) e a quello alla sanità, Lamberto Cavalli che aveva totalmente applicato la legge Basaglia, chiusura cioè dei manicomi ad ogni costo. Racconta Mario Paternostro nel suo ultimo libro («Diario di un cronista di provincia») che Vassallo urlava: «Ma se i matti ci sono dove cavolo dobbiamo tenerli se non nei manicomi!». E a Genova ve ne erano due: Quarto e Cogoleto. Ricordo che un giorno scrissi un «pezzo» sportivo, meglio di politica sportiva, elogiando in un certo senso l’allora assessore allo sport (debbo dire una brava persona). Vassallo mi chiamò e mi disse: «Attento, non esagerare negli elogi di un comunista...». Poi mi sorrise bonario, capace come era lui di passare da momenti umanissimi, ad altri arroventati e di una aggressività inaudita.
Una delle caratteristiche del Giornale Nuovo è sempre stato il «cambio di sede»: ogni qualche anno via, smobilitazione e traslochi. Da via Brigata Liguria, passammo a via Fiasella (piano terra, molto confortevole), poi in piazza Savonarola, quindi in via De Amicis nell’ex palazzo della Regione, oggi siamo in viale Brigata Bisagno.
Ma quella sede iniziale non la potrò mai dimenticare. Perché non era una redazione di giornale, ma una specie di «officina» dove alcuni «carbonari» sembrava preparassero la rivoluzione. E in un certo senso la fecero perché, dopo qualche anno il Giornale arrivò a vendere oltre 40.000 copie.


L’ultima immagine di quella «officina» riguarda una bella signora, che gestiva sullo stesso piano proprio di fronte alla redazione, il laboratorio della «Squibb» Liguria. La signora Anna era sempre da noi e soprattutto da Vassallo, lo curava amorevolmente, lo sosteneva, lo incoraggiava. Poi ho saputo che il suo vero amore era Umberto Merani. Lo sposò qualche anno prima che lui morisse.

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