Il tartufo come l’oro: ecco il galateo del cercatore doc

Va sempre servito su un vassoio coperto da una cloche in vetro per preservarne il profumo. Intanto i cinesi copiano quelli di Alba

Nino Materi

Il cane più raffinato del mondo? Quello da tartufi, ovviamente. Ma se nel mondo animale c’è chi ha naturalmente «fiuto» per il tubero più agognato a tavola, non così tra noi umani che arriviamo a confondere quel soave profumo con l’aroma non altrettante sublime di un fungo ammuffito. Allora, ecco che diventa fondamentale ricorrere al «galateo tartufesco» elaborato - anzi, «cucinato» - da Annie Feolde, la donna chef più nota d’Italia secondo la quale il tartufo «va consumato a crudo, non si congela, non si lascia per giorni in frigorifero e non si dovrebbe trasportare per centinaia di chilometri».
A tavola, poi, «il tartufo deve essere prima di tutto di qualità eccellente, va servito su un vassoio o su un piatto coperto da una cloche in vetro per preservarne il profumo e offrirlo alla vista del cliente. Va pulito con molta attenzione per togliere ogni impurità».
«Io - confessa con fare tutt’altro che tartufesco la signora Feolde - lo pulisco con un coltellino appuntito e con uno spazzolino piccolo. Solo se necessario lo passo velocemente sotto l’acqua. È ideale servito a crudo, tagliato a lamelle finissime con il tagliatartufo per far sprigionare tutto il profumo».
«Il vero intenditore - aggiunge il gastronomo toscano Aldo Fiordelli, che sta al tartufo come Aldo Fabrizi stava alle fettuccine - cerca per i consumi privati i tartufi da circa 100 grammi. Se dal punto di vista nutrizionale la trifola viene definita “carne vegetale” per contenuto proteico e digeribilità, con gli ospiti bisogna scordarsi di averla acquistata per esprimere, con naturalezza e leggerezza, il piacere di un dono prezioso. Dopo il lavaggio, il tartufo nero si serve sempre con il suo bel peridio attaccato».
A questo punto l’Italia intera si chiederà: «E l’affettatura?». Ecco l’attesissima risposta: «Deve avvenire “alla russa“, cioè in maniera individuale. Ogni commensale, al proprio turno, struscerà liberamente l’aromatico fungo sul mandolino o tagliatartufi. Usare le mani non è disdicevole ma anzi conviviale e orgiasticamente sano».
Fin qui l’etichetta, ma passiamo ora alla sostanza. Lo sapevate, ad esempio, che i rinomati e preziosi tartufi bianchi d’Alba sono ora insidiati in Italia addirittura dai tartufi cinesi? L’importazione di funghi e tartufi provenienti dal Paese orientale, infatti, è cresciuta del 67% nel primo trimestre del 2005.


«La concorrenza cinese - sottolinea Coldiretti - riguarda i prodotti essiccati così come i freschi e i conservati e denota una tendenza già evidenziata l’anno scorso quando l’import con la Cina era raddoppiato per un valore annuale di 10,6 milioni di euro». Prossimamente nei ristoranti cinesi di tutta Italia: spaghetti di soia con spolverata di tartufo alla Cantonese.

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