La tattica dei finiani: tormentare Silvio

Gianfranco ai suoi: "La politica non è prendere o lasciare". Ma alle urne rischia di sparire

«Hannibal, Alpibus supera­tis, in Padanam planitiem descen­dit». È un po’ di tempo che un fi­niano con la passione della sto­ria antica va in giro a ripetere que­sta frase. Non è impazzito. La cita­zione nasconde la tattica del suo partito. Berlusconi va trattato co­me Annibale. Il generale cartagi­nese superò le Alpi con gli elefan­ti, scese giù oltre la pianura pada­na, spazzò via i romani sulle sponde del Trasimeno e comin­ciò a scorrazzare per la penisola. È qui che entra in gioco Quinto Fabio Massimo, passato alla sto­ria come il temporeggiatore. Il console cominciò a seguire Anni­bale senza attaccarlo mai, lo pun­zecchiava, lo innervosiva, lo pro­vocava, ma stava ben attento a non accettare una battaglia cam­pale. Nessuno scontro. Una scon­fitta sarebbe stata definitiva. Ad­dio Roma. L’obiettivo era esaspe­rare Annibale, logorarlo. La tatti­ca funzionò fino a Canne. Lì ci fu battaglia e i romani le presero. La storia la sapete. Furono gli ozii di Capua, non la guerra, a dannare Annibale. Tutto questo spiega la reazio­ne dei finiani ai cinque punti di Berlusconi. I paletti che dovreb­bero definire il futuro della mag­gioranza. La questione di fidu­cia, quelle su cui ci stai e non ci stai.L’offensiva per stanare gli in­decisi e isolare i falchi. E cosa ri­spondono Bocchino e compa­gnia? Concordiamo. Bene. Sem­bra il programma di Fini. No pro­blem Cavaliere. Volete la fidu­cia? Servita. Certo, ci sarebbe poi quel cinque per cento di proble­mini che non ci convince. Quelle cosette sulla giustizia e sul pro­cesso breve. Ma vogliamo litiga­re su queste questioncine? Anco­ra, il giorno dopo, sempre Bocchi­no: «Prendere o lasciare è una lo­gica commerciale». Da vendito­re. Insomma, il modo migliore per far saltare i nervi al premier. I finiani non se ne vanno, stanno lì come coinquilini scomodi e logo­rano la maggioranza, senza mai farla cadere. Tirare almeno fino a primavera. Il discorso è sempre lo stesso. Il tempo gioca a sfavore di Annibale come di Berlusconi. L’unica cosa da evitare per i finia­ni sono le elezioni subito. Non possono permettersele. Verreb­bero spazzati via. Addio Fli. Ad­dio Fini. Addio Briguglio, Grana­ta, Bocchino e chi resta con loro. Ecco perché l’unica tattica possi­bile per i finiani è temporeggiare. Come sussurra lo stesso presi­dente della Camera: «La politica non si fa con i prendere o lascia­re ». Può darsi. Il problema è capi­re il confine tra compromesso e stillicidio. Berlusconi lo sa e infatti negli ultimi tempi ha scelto di non cari­care a testa bassa. Sarebbe inuti­le. Non è con la rabbia che si risol­ve il problema finiano. Il leader della maggioranza ha intuito che i suoi ex alleati sono ancora me­no compatti dei senatori romani ai tempi di Fabio Massimo. C’è un gruppo riluttante che ogni giorno si interroga sulle sue scel­te e si immagina già pensionato senza gloria e denari. C’è chi su questa avventura ha scommesso per un salto di qualità della sua carriera e potrebbe anche torna­re a casa se ne vale la pena. Ci so­no i delusi, gli amareggiati, quelli che non perdonano a Berlusconi l’indifferenza e quelli che si sen­tono artisti. E poi ci sono quelli che non hanno più nulla da per­dere, i non perdonabili. È il caso di Bocchino, Briguglio e Grana­ta. L’ultimo, in particolare, spin­ge anche per andare subito allo scontro e negli ultimi giorni sem­bra non gradire la tattica dei tem­poreggiatori. Granata a questo punto o vince con Fini o si deve accasare da qualche parte, maga­ri con Di Pietro. I suoi furori gli frutteranno una patente «No Cav». Al vertice di palazzo Grazioli Berlusconi avrebbe parlato dei cattivi consiglieri finiani. Non ha fatto nomi, limitandosi a un gene­rico «quei soliti tre». Sono loro quelli da isolare. Il premier pun­ta sui moderati, sulla paura, sulle incertezze e su un gruppo che si sente solo. E questo è il punto più delicato. La tattica del «temporeggiato­re » funziona se hai un leader ca­pace di dare fiducia al suo eserci­to. È una guerra di nervi, dove ogni giorno sfiori la battaglia sen­za mai affrontarla. È adrenalina e frustrazione. Molti invece comin­ciano a chiedersi dove sia il loro leader. Le parole di Bocchino non sono casuali: «Fini ha il dove­re di fondare un nuovo partito».

Il senso del discorso è tutto qui. Annibale è a Roma, parla, muove le truppe, chiama a raccolta lo stato maggiore, mobilita la caval­leria. E lui, Fini, invece dov’è, che fa? È a Ansedonia con la Tulliani. Lui si immerge.

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