Taylor ha un «sogno» italiano

Taylor ha un «sogno» italiano

Il suo talento l’hanno scoperto i Beatles. Aveva appena vent’anni e fu il primo artista a pubblicare un disco per la storica Apple, etichetta discografica fondata dai quattro di Liverpool. Era il 1968: in quel disco c’era anche Something in the way she moves, che avrebbe ispirato George Harrison per la celeberrima Something. Cotanto prodigio risponde al nome di James Taylor: da allora a oggi ha incastonato un buon numero di gioielli nella storia della canzone americana, da Fire and rain a Mexico, passando per la personale rilettura del capolavoro di Carole King, You’ve got a friend (a tal proposito, racconta: «quando ho provato a interpretarla la prima volta, non pensavo che l’avrei suonata ogni giorno per il resto della mia vita»).
Arriva stasera a Roma, accolto dallo scenario intimo e affascinante della Cavea dell’Auditorium e accompagnato dalla «Excellent band». Già, perché per questo tour Taylor ha fatto le cose in grande, portando con sé Steve Gadd alla batteria, Michael Landau alla chitarra, Jimmy Johnson al basso, Larry Goldings al piano, Andrea Zonn al violino, Arnold McCuller e Kate Markowitz ai cori. Sarà un viaggio affascinante nella sua storia musicale, ma anche l’occasione per ascoltare qualche cover. I due album più recenti di Taylor sono infatti dedicati all’interpretazione di brani altrui, in attesa di un nuovo disco di inediti; l'ultimo è October road, del 2002, ma pare che l'artista di Boston abbia già in cantiere qualcosa.
Parlando di Taylor salta fuori spesso la sua complessa vicenda umana, che all’inizio degli anni ’70 lo portò molto vicino a una fine prematura. L’abuso di droghe e la vita dissoluta di New York arrivarono quasi a distruggerlo, ma trovò la forza di chiedere aiuto al padre e di salvarsi, dando origine alla fortunata carriera musicale che lo porta ancora in giro per il mondo. Carriera che nel ’96 ha avuto un imprevisto quanto sorprendente (e piacevole) sviluppo italiano, giacché nel ’96 Taylor decise di partecipare all’incisione di Eat the Phikis, fortunato album di Elio e le Storie Tese che conteneva anche La terra dei cachi. Da lì è nata un’amicizia che li ha portati sullo stesso palco nel ’97, per la memorabile registrazione di un programma televisivo in cui gli «Elii» si trasformarono in band di lusso. E in un’intervista concessa pochi mesi fa al collega Lodetti, Taylor ha dimostrato di non aver dimenticato quell’esperienza: «Un sogno? Mi piacerebbe suonare ancora con Elio e le Storie Tese. Ho partecipato per caso a un loro disco, poi abbiamo suonato alla vostra tv.

Io suono con gente come Steve Gadd, Michael Landau, Lou Marini, artisti che hanno lavorato con tutti i più grandi; ma Elio e Rocco Tanica sono fenomenali e inimitabili. Completamente fuori di testa». In attesa di rivederli insieme su un palco, non resta che godersi il concerto di questo elegante signore dalla splendida voce.

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