Branciaroli e Orsini sono "Ragazzi irresistibili" che ridono della morte

Non era conservatrice, né individualista e neppure nazionalista. Un percorso metapolitico dal '77 al '92

Branciaroli e Orsini sono "Ragazzi irresistibili" che ridono della morte

Due vecchi attori che, pur cordialmente detestandosi, hanno lavorato assieme per più di quarant'anni, sono chiamati a riunirsi dopo un decennio d'insanabile, tempestosa rottura. Entrambi sulla soglia dell'ospizio ricominceranno a darsele di santa ragione, prima dell'ultimo passo verso la morte. Cosa c'è di comico, in tutto questo?

Eppure I ragazzi irresistibili - questo il nome della litigiosissima «ditta» - è una delle più divertenti (e malinconiche) commedie di quel genio della risata amara che è stato Neil Simon.

Al culmine d'una trionfale tournèe, che per la regia di Massimo Popolizio li vede al Teatro Argentina di Roma fino al 2 febbraio, quindi al Carignano di Torino (dal 4 al 9) e al Nuovo di Verona (dall'11 al 16), due grandi attori «seri» si sono misurati con questo irresistibile capolavoro della comicità, nel 1976 divenuto anche film e premio Oscar, con Walter Matthau e George Bruns.

E il pubblico non sa se apprezzarne più le risapute qualità drammatiche, o l'insospettato estro esilarante. «Perché questa commedia non deve essere interpretata da comici di professione afferma Franco Branciaroli (il primo dei due è lui) forse pensando a una non memorabile edizione con Aldo Fabrizi e Nino Taranto -. Ne verrebbe fuori una farsa. Questo non è un testo leggero, di puro consumo. Il suo vero tema è la morte. Le sue battute fanno ridere, certo: ma ridono sull'orlo della morte».

E Umberto Orsini (lui è il secondo) gli fa eco: «L'arte più difficile è proprio divertire e assieme commuovere. La scrittura di Simon ottiene in sommo grado questo delicatissimo equilibrio. Mescolato a una malinconia che lo imparenta con Beckett, con Checov». Un meccanismo che Branciaroli definisce «semplicemente perfetto. In America gli spettacoli

non sono finanziati dallo Stato: se non funzionano, chiudono.

Questo ha quindi dovuto affinare battute infallibili, tipiche della comicità ebraica di Woody Allen o Mel Brooks. Ma con uno spessore pensoso in più. Io ritengo Neil Simon il Goldoni del 900». Già da varie stagioni Branciaroli e Orsini (77 anni l'uno, 90 l'altro) formavano un'applauditissima ditta; «ma dopo aver affrontato testi ponderosi firmati Shakespeare, Strauss e Sarraute confessa Orsini - volevamo prenderci una vacanza. Pur maneggiando Neil Simon per quel che è: un autore comunque profondo. Serio, nonostante la sua solo apparente leggerezza». La vecchiaia che avanza, l'orgoglio che non muore mentre forze e lucidità declinano: tutto questo fa capolino tra una battuta fulminante e una irresistibile gag.

«Qualche noioso drammaturgo avrebbe messo questi temi in primo piano ride Branciaroli - Neil Simon, invece, li ricopre con la sua ironia caustica e anti-retorica. Parla di morte prendendola di traverso, evitando accuratamente di renderla esplicita, pesante». «E poi io e Branciaroli non siamo propriamente comici ammette Orsini -. Non abbiamo una faccia che scateni la risata. Perfino la nostra postura è seria. Così il regista Popolizio ha costruito per noi il nostro modo di muoverci, di camminare».

Poi c'è il tema dell'insofferenza reciproca che una coabitazione usurante come quella del palcoscenico produce spesso negli attori. «Ma noi due non potremmo mai litigare, La nostra amicizia confessa Orsini - ha superato la prova più insidiosa, per due attori: un insuccesso. Il Besucher di Strauss in cui eravamo diretti da Ronconi non ha funzionato. E poiché in Italia uno spettacolo, anche se fallisce, va avanti lo stesso, quell'insuccesso ci ha trascinato con sé per mesi. Eppure la nostra amicizia ha resistito».

Al contrario di quanto accade ai rispettivi personaggi (Branciaroli è il corrosivo

e cinico Will; l'accomodante ma orgogliosissimo Al tocca invece ad Orsini) i due interpreti non sembrano avere motivi per detestarsi: «Siamo troppo diversi osserva Branciaroli - per fisico, età, indole. E questo non ci rende mai concorrenti». «Ci definirei semmai complementari aggiunge Orsini -. Il mio rigore, che sconfina con la pignoleria, crea un mix molto efficace con l'istinto creativo, a tratti guascone, di Franco».

E poi, carattere a parte, il feeling scenico è cosa che si può, anzi si deve costruire: «Me l'hanno insegnato, ai miei fortunati inizi con la Compagnia dei Giovani, grandissimi come Romolo Valli, Rossella Falk, Annamaria Guarnieri ricorda Orsini -. Mai una lite, neanche un semplice attrito con loro, in tanti anni di palcoscenico. E poi il rispetto: a Luchino Visconti o a Sarah Ferrati, ad esempio, non sono mai riuscito a dare del tu». Qualcuno la chiamerà «vecchia scuola». Qualunque cosa sia, un fatto è certo: i due la difendono con orgoglio.

«Prenda questo nuovo stile di recitazione farfugliata e sussurrata, che dai film o dalle fiction tv sta prendendo piede anche in teatro scuote la testa Branciaroli -. Alla nostra età io e Umberto non bariamo.

In teatro noi non usiamo microfoni, come tanti colleghi che, venendo da cinema o tv, non hanno i mezzi vocali per farsi sentire fino all'ultima fila di poltrone. Noi usiamo la voce. E poi il teatro esprime parole che non possono essere farfugliate come si farebbe al bar. Il teatro ha un suo respiro. Che deve essere accompagnato. E rispettato».

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