Google ha annunciato novità nella lotta ai contenuti di scarsa qualità e al clickbait, ossia siti e pagine web che attirano in modo cialtronesco l’attenzione degli utenti allo scopo di generare traffico e introiti pubblicitari. Con un nuovo aggiornamento chiamato Helpful content update, Big G intende premiare le risorse web più precise e attendibili facendogli guadagnare posizioni nel ranking, l’ordine con il quale restituisce i risultati cercati dagli utenti.
Secondo Mountain View sono sempre più frequenti i casi in cui i siti restituiti non soddisfano completamente le attese dei navigatori, anche a causa della poca trasparenza e dei trucchi usati da chi predispone siti e pagine per l’indicizzazione.
L’aggiornamento, disponibile all’inizio soltanto per le ricerche e i contenuti in lingua inglese, si concentrerà soprattutto sui siti che divulgano contenuti tecnologici, educativi, di intrattenimento, di arte e che sono deputati allo shopping.
L’aggiornamento
La classificazione dei contenuti avviene grazie al Machine learning, uno dei pilastri del costrutto dell’Intelligenza artificiale. Con il passare del tempo questo sistema di apprendimento viene migliorato e, nell’ultimo anno, Google ha rilasciato migliaia di aggiornamenti più o meno sostanziosi, appoggiandosi su centinaia di migliaia di test basati anche sulla collaborazione umana.
Ora un ulteriore passo avanti, con l’aggiornamento che premia le risorse Helpful, ossia che danno un valore aggiunto all’utente. Rientrano in questa categoria i contenuti originali e di approfondimento. Ciò significa che gli aggregatori di notizie (quelle risorse che raccolgono e rilanciano pagine pubblicate da altri siti), le pagine note per le attività di clickbaiting e quelle poco precise verranno penalizzate ulteriormente, con l’intento di essere rese meno visibili tra i risultati delle ricerche fatte dagli utenti.
Nelle prossime settimane – pure in assenza di specifiche date di dispiego – l’aggiornamento verrà esteso ad altre risorse web e ad altre lingue.
La ricerca su Google
I navigatori più assidui si sono probabilmente accorti dei continui cambiamenti degli algoritmi di indicizzazione usati da Big G. Lo scorso giugno anche il sito The Atlantic si è interessato al tema, rintracciando le evoluzioni che hanno costellato la vita del motore di ricerca. Fino dai suoi albori, Google ha proposto un modello tutto sommato semplice di ricerca dei contenuti indicizzati, architettato sulla corrispondenza tra le parole cercate e quelle trovate all’interno di un sito, la cui attendibilità veniva decretata dal numero di sollecitazioni che riceveva. Più un sito veniva cliccato o linkato e più veniva ritenuto attendibile, un principio che presto si è rilevato essere perfettibile e che, pure mantenendo una propria genesi, si è evoluto anche grazie all’apporto delle Intelligenze artificiali il cui compito, tra gli altri, è quello di “comprendere” cosa l’utente stia cercando.
Tutto ciò ha portato a una rivoluzione sia nelle logiche delle ricerche sia nelle logiche dei risultati ottenuti, tant’è che nel corso del 2020 più del 60% delle ricerche si sono concluse senza lasciare il sito di Google, che riporta a prima vista le informazioni che ritiene utili senza costringere l’utente a visitare il sito che le riporta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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