Il Ceo di Meta Mark Zuckerberg ha aperto le porte dei Reality Labs, i laboratori nei quali l’azienda di Menlo Park studia, implementa e dà corpo ai progetti futuri.
Il futuro su cui sta scommettendo Meta è, ci venga perdonato l’involontario gioco di parole, il Metaverso, quel mondo completamente immersivo in cui ci muoveremo in un futuro difficile da stimare sulla linea temporale e ancor meno da immaginare. Per entrare nel Metaverso occorrono dei visori per la realtà virtuale ed è anche su questi che l’azienda sta lavorando a passo spedito.
Va anche detto che al Metaverso servono regole, linee etiche e codici comportamentali. A Meta però questi interessano poco.
Cosa ci aspetta
Trovarsi in un luogo virtuale essendo convinti di esserci davvero, entrare in contatto con una persona proiettata in quello stesso luogo e avere la sensazione che sia al nostro fianco, esplorare ambienti remoti come se potessimo toccarli con mano. Tutto ciò non è possibile con gli strumenti attuali, ovvero visori poco performanti e software che restituiscono mondi tanto pacchiani che stanno al Metaverso immaginato da Zuckerberg quanto uno schizzo fatto a matita sta al quadro immaginato dal pittore.
Occorrono schermi ad alta definizione e visori di elevata caratura. Il sito americano Protocol si è soffermato sui visori che Meta ha messo in cantiere, ognuno frutto delle esperienze fatte nel tempo e del progresso che avanza.
Dispositivi sempre più fini, leggeri e indossabili con maggiore disinvoltura, dotati di tecnologie sempre più performanti.
Dal 2014, anno in cui l’allora Facebook ha rilevato l’azienda produttrice di visori per la realtà virtuale Oculus VR per 2,3 miliardi di dollari, Meta ha fatto molta strada ma la fine del percorso è ancora al di là della collina.
Oggi sono una trentina i visori sviluppati e va da sé che molti di questi non arriveranno sul mercato. Si tratta però di dispositivi che appartengono a famiglie di prodotti scisse tra loro: si chiamano Half Dome, Butterscoth, Starbust, Holocake e Mirror Lake. Quasi di ognuno di questi esistono più versioni, ognuna più performante della precedente.
Nessuno di questi però rispecchia le aspettative progettuali di Mark Zuckerberg, desideroso di creare un Metaverso che non sia distinguibile dalla realtà fisica. Una visione comune confermata anche da Michael Abrash, a capo del corpo di scienziati che lavorano nei Reality Labs di Meta, che ha palesato l’intenzione di creare visori capaci di reggere a quello che, mutando termini già in auge, definisce “il test di Turing visivo”, ossia dei dispositivi in grado di riprodurre una qualità di immagini tale da rendere impossibile all’uomo riconoscere un’immagine virtuale da una reale.
Oltre i visori
Il Metaverso è fatto di schermi stereoscopici potenti, in grado di offrire un campo visivo ampio e di riprodurre una risoluzione prossima a quella dell’occhio umano. Ma necessita anche di tracciare in tempo reale i movimenti dell’utente. Tutto ciò richiede una potenza dei chip, anche quelli grafici, che devono essere alimentati e disperdere il calore.
I diversi modelli di visori sperimentati nei laboratori di Meta hanno spostato i limiti verso l’alto ma l’obiettivo è ancora lontano.
Il prototipo più recente, il cui nome è Mirror Lake, è quanto di più vicino possa esserci ai visori del futuro: snelli e più facilmente indossabili, dotati di tecnologie visive avanzate e del tracciamento oculare.
Nonostante ciò il giorno in cui li vedremo sul mercato non è dietro l’angolo. Per il momento, benché a Menlo Park (dice Zuckerberg) domini l'ottimismo, siamo ancora nelle spire di un progetto fumoso che non si riesce a distinguere in modo nitido tra possibilismo e utopia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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