Al "telefono" con Camilleri nella Sicilia degli equivoci

È una delle opere più divertenti e ironiche dello scrittore Una concessione telefonica e l'ottusità della burocrazia

Al "telefono" con Camilleri nella Sicilia degli equivoci
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Dopo il debutto al Teatro Biondo di Palermo, che ne è anche il produttore, «La concessione del telefono» di Andrea Camilleri, va in scena al Teatro Strehler il 30 Gennaio, con Alessio Vassallo protagonista, regia di Giuseppe Dipasquale, certamente uno dei conoscitori più attento di tutta l'Opera di Camilleri, col quale, del resto, ha collaborato fin dal 2005, quando lo portò in scena, al Teatro Stabile di Catania.

Fu in quella occasione che vidi lo spettacolo e conobbi l'autore con cui ebbi modo di parlare a lungo e di capire come la lingua orale, con innesti dialettali, fosse tutt'uno con la lingua letteraria, come dire che Camilleri scriveva come parlava e parlava come scriveva. Lo spettacolo ebbe un successo tale da essere replicato per più stagioni, dopo aver superato le duecentomila presenze. Di Pasquale, alcuni anni dopo, ridurrà un altro romanzo: «Il birraio di Preston», ottenendo lo stesso risultato. Certamente, «La concessione del telefono» è uno dei testi più divertenti dell'autore siciliano, costruito sul meccanismo degli equivoci e del paradosso, oltre che del ridicolo, generi che stanno a base dei grandi classici del teatro, il cui capostipite fu Moliere. Il ricorso, soprattutto, al ridicolo, permette a Camilleri di evidenziare la perfidia di certe situazioni e di accordare il riso ai personaggi, specie quando hanno a che fare col potere, dato che la storia ha a che fare con gli strani rapporti che il cittadino ha con la burocrazia. Nel nostro caso, si tratta della richiesta di una linea telefonica, fatta al prefetto, con un nome sbagliato, che diventerà occasione di una serie di equivoci che metteranno alla berlina la stupidità del potere burocratico, in una Sicilia di fine ottocento, ben visibile nell'archivio gigantesco, ricco di faldoni accatastati, pieni di polvere, con le carte ingiallite di carteggi sproporzionati, voluto dallo scenografo, Antonio Fiorentino, d'accordo col regista. Ridicolo è anche il protagonista, Pippo Gesuardi, il quale voleva ottenere una linea telefonica tutta per se, onde poter dialogare con la sua amante e prendere appuntamenti all'insaputa della moglie. Il telefono che, per quel tempo, rappresentava uno dei primi modelli dell'evoluzione sociale, diventerà un mezzo per assecondare i pruriti sessuali del giovane protagonista, a cui Vassallo riesce a dare un suo personale apporto del ridicolo , ben diverso dell'umorismo pirandelliano, proprio perché non contiene nulla di tragico, e ben diverso , a sua volta, da quello di: «L'uomo ridicolo» di Dostoenskij che ha a che fare col sogno, in attesa del suo probabile suicidio.

A dire il vero, non sono certo che le situazioni, inventate da Camilleri, si svolgano in una sorta di superficie, perché è il suo linguaggio che le rende «vere», un linguaggio che alterna l'oralità con la qualità letteraria della parola scritta, la stessa che utilizza per i romanzi dedicati al Commissario Montalbano, dove si ride per quello che viene detto e non per quello che viene fatto.

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