Tenace e generosa: la Meloni dipinge la meglio gioventù

Quando pensi che fino a qualche giorno fa era un ministro ti dimentichi che ha trentaquattro anni. In un paese di vecchi questo suona ancora stonato. Giorgia Meloni non fa nulla per nascondere la sua età, l’accento romano, i pomeriggi passati nella sezione della Garbatella, le fughe in «astromini» il sabato mattina dai palazzi della capitale, la passione «straniera» per le ballate lacustri di Davide Van De Sfroos e quell’aria cocciuta nel rifiutare l’idea che la colpa sia sempre degli altri, del prossimo, del vicino, della sfiga, delle multinazionali e del mondo bastardo. Può starvi simpatica o antipatica, ma Giorgia Meloni un merito ce l’ha: è una che ci mette la faccia.
Molti hanno detto che il suo era un ministero inutile. Sulla sua generazione però lei ci ha scommesso. Tanto da scriverci un libro. È uscito da poco per Sperling&Kupfer. Il titolo è Noi crediamo, viaggio nella meglio gioventù d’Italia. Non è un’autobiografia. Non è un saggio per spiegare la bella politica. Non è una sintesi di qualche anno al ministero. Non è neppure il blog segreto di Giorgia Meloni. È una serie di ritratti, di persone, giovani, che a lei piacciono, un po’ perché magari ci si riconosce, un po’ perché li stima o magari vorrebbe essere come loro. Di lei parla solo nell’introduzione, per spiegare le sue scelte, per dire cosa significa fare politica, per raccontare la sua idea di destra, quasi a fare il controcanto a Gaber con quel «qualcuno era di destra». Cose così, solo per citarne una: «Qualcuno era di destra perché voleva essere parte di un grande movimento popolare. Non circoscritto a banchieri, lobbisti e pseudo intellettuali».
Il resto sono ritratti. Ci trovi Pino Maddaloni, oro olimpico a Sidney 2000, categoria 73 chilogrammi, una vita sul tatami e ora che non combatte più manda avanti una palestra dove insegna judo ai ragazzi di Scampia, il quartiere della camorra dove è cresciuto. C’è Simona Atzori che balla e dipinge e fa mostre e vende quadri e ci crede e quasi non ti accorgi che è nata senza braccia. C’è Marco Marchetti, simbolo prosaico di una generazione ribelle, perché ha scelto di sposarsi e fare un figlio anche senza un contratto a tempo indeterminato, da precario, da nomade. C’è la blogger siriana Lubna Ammoune orgogliosa di essere «italiana punto e basta». C’è chi come Alessandro Romani, incursore del Col Moschin chiude gli occhi a 36 anni e l’ultima cosa che vede è la terra brulla di Nassiriya. Ci sono Carmelinda Missione e Paolo De Coppi, semplicemente una madre che fa nascere una figlia e un ricercatore che cerca di capire dove comincia l’umano e dove finisce la scienza. C’è il suo elfo dei boschi che ha regalato a Giorgia la speranza che la terra di mezzo non venga annientata dagli orchi e dalla macchine. Ci sono le paure di Federica Pellegrini e la lealtà di Mirco Bergamasco.
C’è la storia di due ragazzi che fecero l’impresa. Due ragazzi con un sogno. «Volevano fare i gelatai. Ma non per fare un gelato come tanti. No, loro volevano fare il gelato più buono che si potesse trovare in giro. Per intendersi, un gelato alla fragola che sapesse di fragola, che non avesse un sapore indefinito, uguale a mille altri». È la storia di Guido e Federico e ci sono riusciti.

E poi c’è un ragazzo che a 22 anni si ritrova al Gianicolo con la gamba sinistra in cancrena e sussurra che non ha paura di farsela tagliare. L’importante è continuare a vivere. Non ce la fa. Muore per una vaga idea di Italia. Si chiamava Goffredo Mameli.

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