Il «Tennis italiano» dal 1929 si gioca tra le righe

Sulle sue pagine firme eccellenti da Gianni Clerici a Rino Tomasi

Daniele Belloni

È una sorta di bibbia italiana (e internazionale) del tennis, è la rivista specializzata più antica del mondo, tanto che gli oltre 900 numeri della collezione completa sono allineati sugli scaffali della biblioteca di Wimbledon, sede del più prestigioso torneo del circuito professionistico. Le sue pagine hanno ospitato l’esordio di grandi firme, da Gianni Clerici, che inizia a scrivere nel 1948, a Rino Tommasi, il cui primo pezzo è del 1953. Ma la lista dei collaboratori di alto livello è lunga: comincia con Riccardo Piatti, Alberto Castellani e Claudio Pistolesi, gli unici tre coach italiani riconosciuti dall’ATP, l’Associazione dei giocatori professionisti, e prosegue con il comitato scientifico della rivista che comprende tecnici del calibro di Nick Bollettieri, Emilio Sanchez e Dennis Van Der Meer. E non finisce qui.
Nel 2003 è stata votata dal Professional Tennis Registry, la prestigiosa associazione internazionale di insegnanti di tennis, come la più bella rivista dedicata a questo sport. Sono tanti i «più» e i trofei esposti in bacheca da «Il Tennis Italiano» che viene alla luce a Milano nel 1929 e ancora oggi, 77 anni dopo, rappresenta una delle espressioni più caratteristiche della vivacità intellettuale e imprenditoriale della città. Sì perché ce ne vuole per rimanere sul mercato oltre tre quarti di secolo senza perdere un colpo, e per raccontare uno sport come il tennis, complesso dal punto di vista tecnico, e duro, estremamente competitivo, al limite della spietatezza per quanto riguarda l’aspetto mentale. Il segreto di una così lunga e straordinaria vita? Certamente la passione, l’amore illimitato ed esclusivo per il gioco. Non a caso i 75 anni della rivista sono stati celebrati due anni fa con un bellissimo tomo ricco di fotografie che si intitolava, appunto, «La passione infinita», e non a caso la redazione è formata da gente che gioca: Max Grassi, il caposervizio, l’uomo con i monitor accesi su tutti i campi del mondo, tiene sempre il borsone delle racchette sotto la scrivania. Roberta Lamagni, la più tecnica, ha un passato a livello internazionale. Più volte campionessa italiana, ha incrociato la Schiavone e la Mauresmo, e persino la pin-up russa Kournikova. La segretaria di redazione, Francesca Colombo, è addirittura in piena attività agonistica: nei tornei lombardi tra terza e quarta categoria la conoscono tutti. E la temono.
Il direttore, Enzo Anderloni, non sfugge certo alla regola tennista/giornalista ed è inoltre istruttore riconosciuto dal Professional Tennis Registry. Anderloni entra a «Il Tennis Italiano» nel 1986, ancora studente di Lettere, come redattore tecnico addetto ai test di scarpe e racchette. Seguono il lavoro in redazione con la trafila tipica - caposervizio, caporedattore - e gli incarichi da inviato per i grandi tornei dello Slam e la Coppa Davis. Quindi per diversi anni una rubrica di tennis su «Il Giorno» e infine il timone della rivista che ama e frequenta da vent’anni. La passione, certo: «Il tennis è uno sport impegnativo, bellissimo da raccontare, ricco di storie e personaggi» dice. «L'aspetto fisico è importante, ma la vera differenza, ciò che crea il grande campione, sta nella qualità individuale, nella forza interiore. Ecco perché nel mondo del tennis è facile imbattersi in storie straordinarie». Sul tetto della palazzina che ospita la redazione è visibile da lontano, prendendo via Gradisca, la recinzione di un campo da tennis in erba sintetica sul quale ha giocato anche il grande tennista svedese Stefan Edberg di passaggio a Milano. La passione, di nuovo, le sfide fra redattori, ma soprattutto i test e i servizi tecnici. Del resto l’intera palazzina sulla Gallaratese è un grande contenitore di attrezzature specializzate, dal poligono di tiro nei sotterranei ai banchi prova per motociclette e fuoribordo. Un edificio dedicato allo sport nei suoi aspetti tecnici e tecnologici che fa capo all’Edisport Editoriale, società nata nel 1914 con la rivista «Motociclismo», che attualmente pubblica quindici riviste, dedicate alle grandi passioni sportive, dalla vela al ciclismo, dalla corsa al tiro, fino ad auto e moto d’epoca. Ma in tutta questa eccellenza targata Milano, il tennis cittadino che posto ha? «Milano non è più il centro del tennis italiano come ai tempi del Conte Bonacossa» spiega Anderloni. «Fu lui che inventò gli Internazionali di Italia sulla falsariga del Roland Garros e di Wimbledon, e la prima edizione si tenne proprio a Milano. Tuttavia abbiamo ancora alcune manifestazioni giovanili molto importanti, come il Trofeo Bonfiglio e il Trofeo Avvenire. Poi ci sono tecnici eccellenti e scuole di rilievo: da Laura Golarsa al Tennis Club Milano, a Barbara Rossi, Gianluca Pozzi e Maurizio Riva con la loro accademia al Garden di Novate Milanese». Certo il grande campione, milanese o italiano, ci manca. Gli ultimi sono stati Panatta e Barazzutti, ed è ormai passato qualche decennio. In attesa del «Federer di Rho» come dice Anderloni con un bagliore di speranza negli occhi, l’appassionato di tennis si può consolare con la rivista «più» (più bella, più antica, più letta ecc.) che ha a disposizione uno degli archivi fotografici più ricchi del mondo (allinea tra l’altro alcune foto storiche di proprietà esclusiva, vedi quella di un mitico campione tedesco, il barone Gottfried Von Cramm, che stringe la mano a Hitler).

E quindi sul tabellone bisogna segnare un altro «più» a favore de «Il Tennis Italiano»: sarà per questo che Alan Little, il bibliotecario di Wimbledon era in ambasce per il mancato arrivo del numero di Aprile 2006? «Please, help me, mi aiuti» ha detto all’inviato Federico Ferrero, mostrandogli lo spazio vuoto fra Marzo e Maggio. «Please». Così il numero mancante è stato rispedito e Little ora è tranquillo. La collezione è completa. «Più» di così.

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