Tentazione Del Debbio: il filosofo liberale che può sedurre Milano

L'exploit Fi, la missione toscana e il primo Albertini L'uomo capace di piacere a tutti (e terrorizzare il Pd)

Un intellettuale che buca il più popolare dei media, la tv. E un politico capace di mettere d'accordo leghisti e socialisti (oltre che liberali). Se Paolo Del Debbio oggi è il più accreditato - forse suo malgrado - fra i candidati del centrodestra alla fascia tricolore di Milano, non è certo un caso, trovandosi in mezzo a un crocevia di storie, culture e biografie. Toscano di Lucca, antica isola bianca in un mare di voti comunisti, classe 1958, Del Debbio ha studiato filosofia all'Università Cattolica di Milano e poi alla Pontificia Università della Santa Croce di Roma.

Una tappa tutta toscana nella sua biografia politica c'è, ed è importante. Nel 1995, vent'anni fa esatti, fu arruolato per una missione (obiettivamente) impossibile: sfidare l'allora Pds nella sua roccaforte. Il post comunista Vannino Chiti ottenne come previsto lo scranno di governatore, ma De Debbio conquistò un 36% che, visto oggi, ha del portentoso. E suscitò fra i «moderati» un'onda di legittimo orgoglio identitario: nelle università toscane, 20 anni fa, capitava di incontrare giovani azzurri che giravano con la spilletta del suo nome appuntata sfrontatamente sul bavero della giacca, alla faccia dei «baroni rossi».

De Debbio d'altra parte aveva già combattuto una battaglia non da poco, l'anno prima, contribuendo a mettere in piedi il partito-fenomeno che regalò alla sinistra la più cocente delle delusioni: l'ormai storico 27 marzo '94. Da capo dell'ufficio studi di Forza Italia - lo ha raccontato in Triennale l'altro giorno - dovette inventarsi una sintesi (non scontata) fra radicali e cattolici, liberisti e socialisti, fra nuovo e vecchio, centro e destra. Un'autentica impresa, ovviamente riuscita, in cui si intravedeva già tutto il segno della rivoluzione berlusconiana: scompaginare i vecchi riti ideologici di un teatrino ormai logoro, affidarsi al carisma e al merito, dar voce direttamente a quella maggioranza del Paese che voleva riconoscersi nella parola «libertà». Del Debbio, infatti, è un liberale purosangue. E la sua traiettoria politica è tutta interna alla storia di questa avventura liberale della Seconda repubblica. Nel '94 non fece il ministro ma qualche anno dopo entrò nella squadra di Gabriele Albertini, imprenditore sindaco di Milano. Con la delega alle periferie e alla sicurezza. Ed è ricordato fra gli «assessori intelligenti» che di Albertini fecero la fortuna, tanto da garantirgli una rielezione «in carrozza» senza campagna elettorale. Oggi in tv è conduttore di «Quinta Colonna», che vola negli ascolti e rappresenta quel pezzo di Italia che - in piena crisi - vive con disagio, per esempio, il fenomeno dell'immigrazione. La chiave del successo? Sta ancora in una feconda miscela di alto e basso. Umori e ragione. Argomenti sottili e linguaggio alla portata di tutti.

Insomma, uno stile capace di leggere la realtà senza «becerismi» ma anche senza arrendersi al complesso del politicamente corretto. Una formula che ha tutta l'aria di poter funzionare anche come messaggio elettorale, in una Milano che deve parlare sì con il mondo, è vero, ma anche rassicurare i milanesi.

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