Il tappo è saltato ieri pomeriggio dopo le 17, quando il consiglio d’amministrazione di Rcs Quotidiani ha annunciato quel che tutti ormai da giorni sapevano: via Paolo Mieli, alla direzione del Corriere della Sera torna, dopo sei anni, Ferruccio de Bortoli. Poco più tardi, è andata a posto anche la seconda tessera del grande domino del potere editoriale: Gianni Riotta lascia il Tg1 e si insedia al comando del Sole 24 Ore, il potente quotidiano di Confindustria sul quale regnava De Bortoli.
Nelle prossime ore, lo champagne delle nomine scorrerà come un fiume in piena, bagnando telegiornali, reti Rai, quotidiani e settimanali. Ci saranno premiati e delusi, cambierà quasi tutto perché, alla fine, quasi nulla cambi. La sinistra conserverà il suo tradizionale predominio nei media e continuerà a fingere che non sia così. Secondo tradizione, il Tg1 andrà a un giornalista gradito al governo, con il direttore di Panorama Maurizio Belpietro favorito su quello del Tg2 Mauro Mazza. Quest’ultimo dovrebbe comunque lasciare il suo posto (per lui si parla della direzione di una Rete o di Raisport), con il conseguente effetto cascata, che investirà anche Raitre, la tv dell’opposizione, e le radio. In Rai succede dopo ogni tornata elettorale e qui di strano c’è solo il ritardo con cui si dà il via alle danze, un ritardo dovuto agli altri balletti, quelli andati in scena per mesi alla Commissione di Vigilanza, con il tango Orlando e la rumba Villari.
Niente di nuovo sotto il sole, direte. Eppure c’è qualcosa che stride in queste prime note del valzer delle poltrone. Da settimane ci vanno ripetendo che Silvio Berlusconi, il «ducetto», quello dei 15 anni di regime (buona parte dei quali passati all’opposizione, ma fa niente), quello che ha cambiato la politica italiana e fondato il più grande partito moderato europeo (ma, certo, solo per svago personale, mica per dare un punto di riferimento a quasi la metà degli italiani), insomma che il Tiranno si accinge a completare il suo impero mediatico insediando i suoi uomini al vertice del primo quotidiano italiano e dell’organo della Confindustria.
Bene, come mai allora al Sole arriva Riotta? Gianni Riotta, dico: esordi al Manifesto, carriera al Corriere, poi vicedirettore della Stampa, che notoriamente ama il Cavaliere come i vampiri l’aglio, trasmissione di prestigio a Raitre, covo di temibili fascisti, e infine nominato al Tg1 da Romano Prodi in persona («o passa lui o non passa la Finanziaria», minacciò col suo pesante accento bolognese), due mesi dopo una memorabile intervista al Professore durante la quale la domanda più ficcante fu: «Lei che opinione s’è fatta?».
E come potrà Berlusconi spadroneggiare a via Solferino con De Bortoli, il direttore che scriveva editoriali contro il premier e i suoi «avvocaticchi» e che il premier in persona, giurano i bene informati, fece cacciare sei anni fa? Come ci riuscì, visto che in Rcs Berlusconi non contava un’azione e nemmeno tanti amici, non è chiarissimo. Però tutti, ma proprio tutti, ci hanno assicurato che andò proprio così. I titoli dei giornali di quei giorni erano di questo tenore: «Assalto al Corriere, missione compiuta» «L’aggressione di Berlusconi costringe De Bortoli alle dimissioni», «In pericolo la libertà d’informazione». «Violante: si ribelli la coscienza civile del Paese». «Notizie di regime». Tuonò Cofferati. Il sindacato dei giornalisti proclamò uno sciopero nazionale senza precedenti.
E poi, scusate, lo scrive l’evangelista Travaglio, che altra prova vi serve? Sull’Unità del 10 marzo scorso afferma: «De Bortoli fu cacciato dal Corriere nel 2004 (era il 2003, ma pretenderete mica che Travaglio sia preciso, ndr) per aver respinto le pressioni di Al Tappone e i suoi cari». E nel suo libro Regime ha documentato da par suo come ciò avvenì: «avvertimenti, pressioni, attacchi volgari, lettere insinuanti al limite del ricattatorio, telefonate minacciose».
In poche parole: due amiconi. Al punto che quando De Bortoli si dimise, l’Unità aprì la prima pagina così: «Si sono presi anche il Corriere». Adesso che De Bortoli è ritornato hanno un solo problema: non sanno come rifare lo stesso titolo.
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