«Il terrorismo islamico è una minaccia simile a quella nazista»

Il ministro Castelli: «Niente scuse ai Paesi arabi quando si esprimono libere opinioni»

Stefano Zurlo

da Roma

Allora, ministro Castelli, l’incidente con Fini è davvero chiuso?
«È chiuso, è chiuso». Roberto Castelli sta firmando le copie del libro scritto a quattro mani con Erminia Frigerio, Maledetto ingegnere: una collezione degli insulti ricevuti in cinque anni di permanenza al ministero della Giustizia. A presentare il volume è arrivato, a sorpresa, Silvio Berlusconi, l’unico a batterlo in questa speciale classifica. Ma adesso il tema è un altro: le liti all’interno della coalizione di governo, la diversa valutazione del caso Calderoli, i moti di Bengasi. «Il caso è chiuso - riprende Castelli - ma resta il problema: come affrontare l’integralismo che scatena le masse? Il terrorismo islamico è una minaccia simile al nazismo che pone l'Europa nella stessa situazione vissuta alla fine degli anni '30».
Calderoli, però, le masse le ha provocate, esibendo la maglietta.
«Calderoli si è dimesso. Un gesto di grande responsabilità».
A Bengasi sono morte almeno undici persone.
«Quei moti non hanno avuto origine dalla maglietta. La cronologia dimostra un’altra verità. Poi, per salvare la compattezza della coalizione, perché ci sono le elezioni alle porte, il ministro ha fatto un passo indietro».
Insomma, la Lega non chiede scusa ai Paesi arabi?
«Dobbiamo distinguere le azioni violente, per le quali occorre scusarsi, dalle libere opinioni che si possono anche criticare aspramente. Ma che hanno diritto di cittadinanza».
Rieccoci al quesito iniziale: che lingua parlare con i Paesi islamici?
«Ci sono due scuole di pensiero. La sinistra segue la linea riassumibile nello slogan: “Dieci, cento, mille Nassirya”».
Una parte della sinistra?
«Una parte della sinistra. Che però appartiene a pieno titolo alla coalizione guidata da Prodi».
L’altra scuola di pensiero?
«È la linea della fermezza. Dialogo sì, ma senza rinunciare alle nostre radici cristiane. Del resto il riconoscimento della nostra identità è uno dei cinque punti chiesti dalla lega nel momento in cui Calderoli si è dimesso».
Dunque, la Lega non metterà in crisi la Casa delle libertà?
«La spaccatura nel movimento è stata ricomposta. I cinque punti, dal federalismo fiscale allo stop ai clandestini, ci faranno fare un passo in avanti».
Vedremo. Per ora è tempo di bilanci.
«Siamo andati al di là delle più rosee aspettative».
Qualche magistrato metterà in bacheca questa sua affermazione.
«Certo, più d’uno ironizzerà, ma questa è la verità. Abbiamo realizzato la fondamentale riforma dell’ordinamento giudiziario, abbiamo riformato il diritto societario e il diritto fallimentare. Abbiamo varato leggi attesissime come quella sulla legittima difesa e molto importanti come quella sui reati di opinione. Certo, non si poteva fare tutto».
Quali sono gli obiettivi falliti?
«Fondamentalmente due: la riforma delle professioni, che abbiamo mancato per un soffio, e la riforma del tribunale per i minori, affossata dai franchi tiratori. Se rimarremo al governo, ci spenderemo per creare il tribunale della famiglia, cui la Lega tiene molto. Aggiungo che se solo mi volto indietro e torno a un anno fa sono molto soddisfatto: non avrei mai pensato di raggiungere tutti questi risultati, ma la stagione del raccolto arriva dopo una lunga, faticosa semina».
Sarà anche la stagione del raccolto ma il prezzo pagato è alto. Come spiega la crisi nel dialogo fra il ministro e l’Associazione nazionale magistrati?
«Il 27 per cento dei magistrati italiani è politicamente a sinistra».
Li ha contati?
«No, sono quelli iscritti a Magistratura democratica, dunque mi contestano per ragioni politiche. Nel mio libro documento questo giudizio: Md ha posto le basi teoriche per la propria azione politica utilizzando il potere della magistratura».
Gli interessati ovviamente smentiscono.
«Basta leggere i documenti dei congressi di Md per darmi ragione».
E gli altri? Come mai anche i moderati si sono schierati contro di lei?
«Il restante 71 e passa per cento non persegue la lotta politica, ma è comunque contro questo governo, per motivi istituzionali e corporativi, perché pensa che il governo si intrometta nella sua autonomia».
I giudici difendono i loro privilegi?
«Difendono un sistema consolidato e non vogliono alcuna modifica. Naturalmente questa situazione di stallo nel dialogo mi rattrista. Ma, sabato pomeriggio andrò serenamente, qui a Roma, al congresso dell’Anm. Ho partecipato a tutti i congressi e sono sempre stato accolto con la massima cortesia. So che sarà così anche questa volta».
Davanti alla platea farà autocritica?
«No. Potrei farla qui e su altre questioni».
Quali?
«Non essere riuscito a convincere Tremonti dell’importanza di alcuni progetti. E non avere avuto il tempo e le energie sufficienti per snellire la macchina burocratica.

Pensi che da due anni non riesco a insediare un ingegnere a capo della direzione informatica. Pazienza. Ora aspetto solo la promulgazione da parte del Quirinale degli ultimi decreti legislativi che daranno attuazione alla riforma dell’ordinamento giudiziario. Alcuni sono già stati firmati da Ciampi, altri no».

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