Il retroscena esclusivo sulla nave fantasma di Putin: come l'hanno attaccata

La ricostruzione di quello che è successo la notte del 14 febbraio scorso, quando alcuni sabotatori hanno piazzato delle cariche esplosive sulla SeaJewel mentre si trovava al largo di Savona

Il retroscena esclusivo sulla nave fantasma di Putin: come l'hanno attaccata
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"Il fatto che i fori dell'esplosione fossero semplicemente sulla paratia e non in un punto più vulnerabile come l’asse dell'elica indica una preparazione non di altissimo livello del sabotatore oppure la volontà di compiere un atto intimidatorio. Le petroliere, inoltre, sono dotate di doppio scafo e la probabilità di forarli entrambi è bassissima. L’ipotesi di un atto dimostrativo è dunque la più probabile. Ma chiediamoci, anche solo per un momento, quale sarebbe stata la portata del danno ambientale provocato dalla fuoriuscita del petrolio, se solo ce l’avessero fatta”. Esordisce così la fonte del Giornale quando parla di Seajewel, la petroliera gioiello del mare che ha subìto un sabotaggio il 14 febbraio scorso al largo di Savona e che farebbe parte della “flotta fantasma” di Vladimir Putin.

Come è noto, la notizia dell’attacco viene lanciata dai giornali e dal solito giro di agenzie a metà dello scorso febbraio. Indaga l’antiterrorismo, si legge. Poi più nulla. Qualche giorno fa, complici i lavori del Copasir, si è tornato a parlare di questa storia che sembrava ormai sommersa dall’oblio dei media. Ma cosa è successo realmente in quella notte di febbraio?

Una fonte qualificata del Giornale che ha studiato il fascicolo prova a dare delle risposte, a partire dalle tempistiche necessarie per compiere l’azione: due ore circa. Non di più. Forse anche un’ora e mezza. “Un nuotatore medio - spiega - percorre circa mille metri in 25 minuti e, se applichiamo questo dato alla distanza tra la spiaggia e la nave, arriviamo a 33 minuti circa”.

Quella notte, inoltre, la luna era gibbosa calante con una luminosità del 96%. Molto alta quindi. “In assenza di luna, o in presenza di quella piena, scorgere un nuotatore è praticamente impossibile a causa del forte riflesso della luce sul mare. Il sabotatore (o i sabotatori) ha avuto quindi tutto il tempo di raggiungere tranquillamente la petroliera navigando a vista e senza strumenti e, con una breve apnea, posizionare le cariche magnetiche sullo scafo”. Impossibile? Non proprio se pensiamo che, durante la Seconda guerra mondiale, Luigi Ferraro, medaglia d'oro al valor militare, affondò da solo tre navi nemiche trasportando le cariche a nuoto (e in superficie) in un ambiente ostile per una distanza media di attacco di circa duemila metri. Ma non solo. Prosegue la fonte: “Un nuotatore subacqueo con autorespiratore ad ossigeno riesce con maggior facilità a posizionare le cariche in qualsiasi punto della nave. Questo perché l'autorespiratore ad ossigeno ha un’autonomia ben superiore alle due ore necessarie per portare a termine l’attacco, pesa meno di dieci chili a secco e ha le dimensioni di uno zainetto, il che permette al sabotatore di nasconderlo facilmente in macchina o di mascherarlo durante il trasporto a piedi”. L’operazione potrebbe essere stata ancora più facile se, in quella notte di febbraio, fosse stato usato uno scooter subacqueo, che viaggia ad una velocità compresa tra i due e i tre nodi (due nodi = 60 metri al minuto e tre nodi = 100 metri al minuto).

Cos’è successo dunque? “L’ipotesi più probabile è quella di un sabotatore professionista, coadiuvato da un aiuto a terra, che si sia fatto mettere a mare presso la spiaggia adiacente alla punta di Bergeggi e che abbia poi atteso la conferma della presenza della nave alla fonda da parte del coadiutore che, nel frattempo, si era spostato presso il bagno indicato. Avuta la conferma della presenza, avrebbe intrapreso la navigazione subacquea per raggiungere la nave, posizionare le cariche, visto che gli squarci sarebbero almeno due, e dirigersi verso terra in un punto prestabilito dove il coadiutore avrebbe confermato la propria presenza mediante lampi di luce. Si tratterebbe di una navigazione di circa 4500 metri che, a due nodi, si effettua in un’ora e quindici minuti. Un'operazione estremamente semplice nelle condizioni di quella notte”.

Ipotesi,

per il momento. Ma che si avvicinano molto alla realtà. Anche se quello che è successo alla Seajewel è ancora coperto dal buio di quella notte di inverno. E dal riserbo totale e quasi impenetrabile attorno all’inchiesta.

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