Tfr, stangata per le medie imprese L’ira di Forza Italia: uno scandalo

Accordo fra governo e parti sociali: piccole aziende esentate, ma le altre dovranno dare il 100% delle liquidazioni all’Inps

Antonio Signorini

da Roma

A un giorno dall’assise pratese dei piccoli imprenditori di Confindustria e con la minaccia di un fronte comune tra le parti sociali che avrebbe potuto mandare a monte il piano sul Trattamento di fine rapporto (Tfr), il governo ha convocato sindacati e associazioni datoriali a Palazzo Chigi con l’intenzione di accontentare tutti. Ma non ci è riuscito del tutto.
Le modifiche alla parte della Finanziaria che destinava all’Inps la metà delle quote di liquidazione che i lavoratori non destineranno ai fondi pensione sono tante e di sostanza. Agli imprenditori di viale dell’Astronomia è stato concesso l’esonero delle aziende sotto i 50 dipendenti che non dovranno più versare all’Inps le quote di Tfr che non andranno alla previdenza integrativa. Per contro, sopra quella soglia, i datori di lavoro saranno obbligati a versare all’Istituto il 100 per cento del Tfr e non più il 50 per cento. Un aspetto che non è sfuggito a Maurizio Sacconi, ex sottosegretario al Welfare ed esponente di Forza Italia vicino agli umori delle piccole e medie aziende. Così - ha spiegato - «si penalizza la crescita dimensionale delle imprese e si priva della liquidità quelle medio-piccole. È scandaloso che Confindustria abbia accettato questo accordo». La confederazione guidata da Luca di Montezemolo ha ottenuto anche qualche rassicurazione sulla transitorietà del trasferimento del Tfr all’Inps (nel 2008 ci sarà una verifica); ancora da definire i meccanismi per compensare le imprese per il venir meno delle quote di Tfr. L’ultimo nodo che la diplomazia sotterranea di questi giorni non è riuscito a sciogliere è proprio questo. Il costo delle compensazioni è stato calcolato in 400 milioni per il 2007. «Io non ce l’ho. Visto che siete tutti qui potreste dirmelo voi dove trovare questi soldi», ha detto il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa alle parti sociali. I rappresentanti di Confindustria hanno mostrato le loro stime secondo le quali all’Inps andranno 6,4 miliardi. E hanno proposto di lasciarne una parte alle imprese. Per il momento il governo si è impegnato a trovare un accordo con le banche per concedere un credito agevolato. E ha promesso che «studierà» la costituzione di «un limitato fondo di garanzia». Poco, visto che il direttore generale Maurizio Beretta ha sentito il bisogno di ribadire le richieste di Confindustria.
Soddisfatti, praticamente senza riserve, i sindacati che hanno incassato le concessioni più importanti. Innanzitutto la partenza della previdenza integrativa è stata anticipata. Tra il gennaio e il giugno 2007 i lavoratori dovranno decidere cosa fare del proprio Tfr. E se non decideranno, le quote prelevate dalla busta paga verranno destinate direttamente al fondo integrativo «contrattuale», cioè quello della categoria di appartenenza. In sostanza è stato accettato il principio del «silenzio-assenso» che faceva parte della riforma Maroni e che le organizzazioni dei lavoratori hanno chiesto di confermare. Ancora da decidere un altro punto importante e cioè il trattamento fiscale dei fondi integrativi. La richiesta dei sindacati è di esonerarli del tutto, ma per il momento l’esecutivo si impegna a «rivedere» il trattamento fiscale.
Concessioni che non hanno convinto le associazioni di artigiani, commercianti e le cooperative, convocate dal governo dopo sindacati e Confindustria. Per la Confcommercio è stata «un’intesa squilibrata mentre nessuna risposta è venuta sugli studi di settore e sui contributi delle pensioni dei lavoratori autonomi».

Dalle cooperative arriva una critica radicale proprio al cuore dell’intesa. E cioè il trasferimento delle quote di Tfr all’Inps. Avrà - lamentano Confcooperative e Legacoop - «un impatto pesante» sulle cooperative «ad alta densità occupazionale, già di natura sottocapitalizzate».

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