Torino - Un documento di sette pagine, un dossier segreto compilato nelle settimane successive al rogo del 6 dicembre e sequestrato nei giorni scorsi a Terni dalla guardia di Finanza di Torino. Un’analisi riservata, un rapporto interno della ThyssenKrupp che prende di mira i sette operai vittime della linea 5 («si erano distratti») e l’unico sopravvissuto alla tremenda esplosione avvenuta nello stabilimento di corso Regina Margherita, Antonio Boccuzzi («va fermato con azioni legali»). Lui, l’unico superstite della tragedia torinese, reagisce con un misto di rabbia e stupore.
Nel documento rinvenuto nella valigetta personale di un dirigente della Thyssen si parla anche di lei. La accusano di andare troppo in televisione, di rilasciare troppe interviste. Se l’aspettava?
«No, sinceramente non me l’aspettavo. Quello che sento di rispondere all’autore del documento è che non ho mai cercato fama, notorietà. Non mi sento una star, non mi interessa diventarlo. Sono andato in tv perché volevo raccontare la verità, ed è quello che ho fatto».
Per l’autore del dossier segreto lei sarebbe andato in tv esclusivamente per criticare i vertici della Thyssen e per muovere nei loro confronti critiche sempre più gravi e pesanti.
«Sono accuse ridicole, che non condivido e che rispedisco al mittente. Anzi, lo sa che cosa farei se solo potessi? Cambierei immediatamente la mia vita con quella della persona che ha scritto quelle sette pagine, farei in modo che lui diventasse me e io lui. E lo sa perché?».
Perché?
«Perché vorrei far capire a quella persona qual è la mia vita in questo momento, vorrei che provasse le sensazioni che provo io adesso, che avvertisse il dolore che mi trascino dietro da quel maledetto 6 dicembre. Non è facile, mi creda».
L’autore del dossier scrive che l’operaio Boccuzzi «va fermato con azioni legali». Ha paura che l’azienda possa prendere provvedimenti nei suoi confronti?
«Sinceramente, non me ne frega nulla. Io non ho fatto nulla di male, non credo di aver sbagliato negli atteggiamenti e nelle parole. Non ho fatto o detto nulla di sbagliato, ho solo raccontato la verità. Ho descritto la scena che ho visto con i miei occhi».
La minaccia di azioni legali potrebbe essere una maniera per tapparle la bocca.
«Non ci riusciranno. Continuerò a parlare, a raccontare cos’è accaduto in quella maledetta notte».
E cos’è accaduto in quella maledetta notte?
«Era una notte come tante altre, un turno in apparenza tranquillo. Poi è scoppiato l’inferno e…».
E...?
«E ci siamo accorti che il telefono non funzionava, che gli estintori erano vuoti. Ho provato a spegnere le fiamme, ma l’estintore che avevo tra le mani non è servito a nulla. Era vuoto, vuoto anche quello. Vuoto come tanti altri lungo quella linea. Maledizione. Se fossi morto con loro, adesso non potrei raccontare tutto questo. Per questo sono diventato scomodo».
Nel documento sequestrato dalla Finanza è scritto che gli operai della linea 5 «si erano distratti».
«Ma per favore, non diciamo sciocchezze. Ripeto, quella notte era simile a tante altre notti trascorse lì dentro e quel turno alla linea 5 identico a tanti altri che ho vissuto nei miei tredici anni alla Thyssen. E noi eravamo noi, sempre gli stessi. Con gli stessi atteggiamenti, con gli stessi comportamenti. Con la stessa attenzione di sempre. Non eravamo distratti, non lo siamo mai stati. È vergognoso far ricadere sui miei colleghi la colpa di quanto accaduto in quella maledetta notte».
I suoi colleghi come hanno preso la notizia dell’esistenza di un dossier segreto, riservato ai vertici aziendali?
«Sono sorpresi e indignati quanto me. E anche in loro, in questo momento, c’è rabbia, tanta rabbia. Non si aspettavano un attacco tanto duro, così feroce. Molti di loro mi hanno telefonato per esprimere solidarietà, per ribadirmi che posso contare su di loro in qualsiasi momento».
E dalla Thyssen si è fatto vivo qualcuno?
«No. Da quel 6 dicembre non ho più sentito nessuno».
E nessuno, in questo mese e mezzo, le ha mai fatto capire che si stava esponendo troppo e che sarebbe stato meglio ridurre o interrompere del tutto i rapporti con i media?
«No, mai un segnale. Neanche una telefonata, un sms o una mail. Leggere adesso certe cose è stato per me un autentico fulmine a ciel sereno».
Vuol dire che dal giorno della tragedia nessun dirigente della ThyssenKrupp si è mai preoccupato di stabilire un contatto con voi? Nessuno l’ha mai cercata?
«No, neppure il giorno in cui è mancata mia madre. Nessuno si è preoccupato di farmi le condoglianze».
Cosa pensa di fare adesso?
«Continuerò a raccontare la verità, a denunciare che non c’era più nulla che funzionasse nello stabilimento in cui ho lavorato per tredici anni. Loro vorrebbero che sparissi, che la smettessi di espormi così. Ma io ho avuto una grande fortuna».
Quale?
«Sopravvivere a questa tragedia e poter raccontare adesso cos’è accaduto quella notte. Tutti devono sapere perché i miei colleghi non ci sono più, nessuno dovrà mai scordare questi sette nomi: Antonio, Roberto, Angelo, Bruno, Rocco, Rosario e Giuseppe. Come si fa a dire adesso che l’incidente è colpa loro, come si fa scrivere che è saltato tutto in aria perché si erano distratti un attimo? Chi glielo racconta, adesso, alle loro famiglie?».
Dopo la pubblicazione del dossier, ha avuto modo di parlare con i familiari dei suoi sette colleghi morti?
«No, non l’ho fatto. Per loro sono momenti duri, terribili. Hanno bisogno di tranquillità».
Cosa risponde a chi le contesta che da tempo se ne va in giro a parlare della Thyssen come se si sentisse un eroe?
Sorride. «Ma quale eroe? Le ho già detto prima che non mi sento una star, figuriamoci un eroe. Gli eroi sono altri.
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