Timide prove di democrazia nella Bielorussia (post) sovietica

Per la prima volta il presidente Lukashenko avanza delle timide concessioni: potrebbero portare a elezioni democratiche. Ma forse è solo un modo per rabbonire la Ue

La politica della Bielorussia, la più sovietica delle ex Repubbliche sovietiche, pare essere vicina ad una svolta. Alexander Lukashenko, il presidente autoritario della Bielorussia, promette di rendere più facile la vita all'opposizione attraverso alcune riforme del sistema elettorale. Il presidente, spesso indicato come l'«ultimo dittatore d'Europa» (si sono espresse in questi termini diverse amministrazioni statunitensi), ha chiesto al Parlamento di approvare una normativa che allenti lo strettissimo regime di controllo e registrazione per i candidati per le elezioni locali, previste per il prossimo anno, e per le presidenziali, che sono a calendario per il 2011.
Il leader bielorusso ha anche «suggerito» alla sua maggioranza di permettere ai candidati l'autofinanziamento e all'opposizione di monitorare le operazioni di voto.
Difficile però dire se si tratti di una reale apertura. Le promesse di Lukashenko sembrano più che altro voler andare incontro alle contestazioni fatte a Minsk dall'Ue sul fronte dei diritti umani e civili. Bruxelles è, infatti, intervenuta più volte sanzionando la Bielorussia. Lukashenko sembra impegnato in un'equilibristico tentativo di avvicinarsi all'Europa, senza allontanarsi da Mosca, con la quale ultimamente i rapporti sono apparsi meno stabili di un tempo.

Nonostante tutte le sue presunte violazioni del sistema democratico (in Bielorussia il servizio segreto si chiama ancora Kgb e potrebbe non essere un caso)e le sue difficoltà internazionali però Lukashenko può contare su un forte consenso interno grazie a un sistema statalista che, pur opprimente, ha mantenuto bassissima la disoccupazione e salvaguardato i salari di stato. Ma questa macchina non può funzionare in eterno se il Paese resta isolato.
MSac

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