Tirana si avvicina al voto nel clima di guerra civile

Il governo socialista travolto dalle collusioni con il narcotraffico. Opposizione in piazza

Tirana si avvicina al voto nel clima di guerra civile

Dovunque si volti, l'Aquila bicipite di Scanderbeg non vede altro che caos. L'Albania fronteggia una crisi politica e istituzionale senza precedenti negli ultimi anni. Dopo mesi di proteste di piazza contro il governo, il Paese si dibatte in un impasse che continua ad aggravarsi. Da un lato i socialisti di Edi Rama, al governo dal 2013; dall'altro l'opposizione di centrodestra, guidata dal Partito Democratico di Lulzim Basha, erede del padre nobile dell'Albania post-comunista, Sali Berisha. I democratici chiedono le dimissioni dell'esecutivo, certi del malcontento popolare contro stipendi e pensioni da fame e forti delle recenti inchieste giornalistiche che provano i collegamenti fra l'élite politica e il crimine organizzato.

A febbraio i deputati della minoranza hanno delegittimato un Parlamento che non ritengono più rappresentativo, abbandonando i lavori dell'aula. La Corte Costituzionale è anch'essa paralizzata, con un solo giudice in carica su nove. Altri tribunali, dalla Corte di Cassazione alle corti locali, hanno problemi analoghi. Dopo gli ennesimi scontri di piazza, il 9 giugno il presidente della Repubblica Ilir Meta ha annullato le elezioni amministrative del 30 giugno. A suo dire non ci sarebbero le condizioni per uno svolgimento sereno del voto, e in effetti senza candidati di centrodestra gli elettori non avrebbero, di fatto, la possibilità di scegliere.

Rama ha replicato nel modo più duro, chiedendo la rimozione di Meta e accusando l'opposizione di puntare al colpo di Stato, «perché non riesce a prevalere nelle urne». La paralisi istituzionale, però, blocca anche la destituzione del presidente, che dovrebbe essere sanzionata da una Corte Costituzionale che invece è impossibilitata ad agire.

Nel frattempo però il Parlamento privo dell'opposizione ha votato una mozione che dichiara nulla la decisione di Meta di cancellare le elezioni amministrative. «Il sistema parlamentare e quello giudiziario sono in frantumi - spiega al Giornale Lulzim Basha -. Rama controlla tutti i poteri e governa con ordini personali, in assenza di qualsiasi tipo di restrizione istituzionale. I politici sono praticamente al di sopra della legge. Di conseguenza, il livello di corruzione e criminalità è aumentato man mano che politici e criminali restano impuniti». Il capo dell'opposizione punta il dito contro due piaghe: la corruzione e il narcotraffico. Da anni l'Albania è la principale piazza di produzione europea della marijuana e recentemente ha iniziato ad attirare consistenti traffici di cocaina, che di lì transita per raggiungere i Balcani. Secondo l'Osce, nel 2017 il giro di affari connesso alla produzione e al commercio della cannabis rappresentava quasi un quinto del Pil. Inevitabile che i politici più disonesti siano tentati di scendere a patti con i clan.

Il giornale tedesco Bild, in una recente inchiesta, ha svelato il sostegno di un boss della droga ad alcuni candidati socialisti della zona di Durazzo. Accordi indicibili che sarebbero stati stretti prima delle elezioni del 2017, che videro prevalere proprio Rama. In altri audio viene intercettato il premier stesso, che ha già annunciato querele contro i giornalisti. Una bomba mediatica che Basha non si lascia sfuggire: «Il premier è il principale responsabile - argomenta - Il governo si dimetta e i colpevoli siano assicurati alla giustizia. Chiediamo che Ue e Italia facciano pressione per il ritorno dello stato di diritto e della democrazia».

Gli scandali, tuttavia, non sono circoscritti alla maggioranza. Lo stesso Basha è sotto accusa perché nel 2017 non avrebbe dichiarato un versamento di svariate decine di migliaia di dollari alla società USA di lobbying Muzin Capitol Partners, considerata vicina ai repubblicani di Donald Trump. Basha si è subito difeso parlando di giustizia a orologeria per un'inchiesta che - dice - è stata tirata fuori ad arte per colpirlo proprio nel momento più difficile per il governo.

Nonostante non rappresenti un nuovo arrivato sulla scena politica - fu ministro dal 2005 al 2011 e sindaco della capitale - Basha mobilita proteste di piazza partecipate e molto rumorose. A decine di migliaia, per settimane, lo hanno osannato sventolando bandiere della Ue e degli Stati Uniti. I problemi, però, vanno oltre la corruzione: nonostante una crescita al 4%, molti albanesi non arrivano a guadagnare 10 euro al giorno e vaste zone del Paese contano in modo massiccio sulle rimesse degli emigranti. Secondo l'Organizzazione internazionale delle migrazioni, dagli anni Novanta al 2006 oltre 1 milione e 100mila persone si sono trasferite all'estero, mentre chi resta è profondamente sfiduciato verso la classe politica. L'opposizione democratica vuole rispondere «sottomettendosi alla volontà del popolo».

Finora, però, Tirana vive uno stallo preoccupante: formalmente le elezioni del 30 giugno sono state cancellate ma il governo assicura che si terranno. Per quel giorno si temono tensioni e scontri di piazza ancora più violenti.

L'opposizione ha convocato una nuova manifestazione nel tentativo di aumentare la pressione sul governo. Che però non sembra voler cedere e si gode il silenzio guardingo della comunità internazionale. I prossimi giorni saranno decisivi.

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