TOEWS Fuga dalla setta che teme la gioia

La protagonista del romanzo è una giovane Holden del terzo millennio

TOEWS  Fuga dalla  setta che teme la  gioia

Avete presente il ballo, il fumo, i climi temperati, il cinema e gli alcolici? Tutto vietato a East Village. E il sesso a scopo ricreativo, il nuoto, il trucco, i gioielli, le gite in città e l’andare a dormire dopo le nove? Lo stesso. No, non ci riferiamo al celebre quartiere di New York dove tali prescrizioni sarebbero inconcepibili. L’East Village a cui alludiamo è un paese canadese, nei pressi della frontiera con gli Stati Uniti, dove vivono i mennoniti. Chi siano questi ultimi lasciamolo dire a Nomi Nickel, protagonista del romanzo Un complicato atto d’amore (Adelphi, pp. 275, euro 16,00) pubblicato lo scorso anno da Miriam Toews (nata nel 1964 a Steinbach, Manitoba, ma adesso vive a Winnipeg) con straordinario successo di critica e pubblico: «Per quanto ne so, è la sottosetta più sfigata a cui si possa appartenere a sedici anni. Cinquecento anni fa, in Europa, un tizio di nome Menno Simons si è messo di buzzo buono per inventarsi una religione tutta sua e lui e i suoi seguaci olandesi polacchi e russi sono stati ammazzati di botte o costretti a conformarsi, finché alcuni sono venuti a cacciarsi proprio qui dove sono io adesso».
È una ragazzina a parlare: all’inizio, quando si presenta, potresti crederla un po’ fuori di testa; se lo fosse, ne avrebbe tutte le ragioni, essendo rimasta da sola con il padre, il signor Ray, in seguito all’improvvisa fuga di Tash, sorella maggiore e, sette settimane dopo, di Trudie, la madre. A parte questo, tanto appare sveglia Nomi, che a dieci anni ha dovuto imparare a memoria interi versetti della Bibbia per poter andare in campeggio al Blue Mountain Bible Camp, tanto sembrano già morti sui Tir le centinaia di polli che sfrecciano sulla statale verso il vicino macello. Abitare a East Village è come far parte di una barzelletta nazionale: secondo Nomi, Menno doveva essere strafatto di sciroppo per la tosse quando si mise a stilare i suoi minuziosi divieti che si sono tramandati di generazione in generazione come gli occhi azzurri del nonno a quelli del nipote. Non si va in giro da soli, non ci si bagna i piedi nudi, non si dicono parolacce... Insomma una cosa tipo Amish, anche se a loro la realtà incute ancora più timore. Chi rompe le regole viene bandito, scomunicato: nessuno può avere rapporti con lui o lei. «La città è il lato oscuro, il ventre della balena. È un guizzo in lontananza, come un dolore intermittente. Se ci vai, non importa per quanto tempo, non torni più indietro, e se non torni indietro rinunci al tuo posto nella schiera celeste».
A questa giovane Holden del Terzo Millennio, a cui piace andare in bicicletta sulla strada principale e attaccarsi ai camper con targa americana lasciandosi tirare indisturbata per chilometri mentre gioca con altre bambine che affascinate la guardano dal finestrino, non possono bastare né le spiegazioni del professor Quiring a scuola, né le soporifere canne d'erba fumate di nascosto con il fidanzatino Travis, nella prateria dove sta la roulotte di Pettine, considerato poco più che un topo di fogna dalla comunità. Soprattutto non possono bastarle i clamorosi silenzi, interrotti soltanto dalla declamazione di qualche salmo, del padre che, da quando ha visto partire figlia e consorte, è diventato una statua di sale.
La storia narrata sembra vecchia quanto il mondo: una comunità chiusa come il gheriglio dentro la noce, con tutta la possibile risonanza simbolica (la noce è la famiglia, sono le convenzioni sociali, gli Stati Uniti, chi più ne ha, più ne metta), pronta a rigettare ogni corpo estraneo. Eppure Miriam Toews sa presentarla quasi fosse nuova. Come fa a riuscirci? Ha due doti importanti: una linguistica, l’altra strutturale. Il gergo di Nomi (restituito benissimo da Monica Pareschi, la traduttrice italiana) possiede un timbro spiccato e inconfondibile. Inoltre la scrittrice è una maestra del ritardo narrativo: solo alla fine del libro si capisce cos’era successo prima che il romanzo iniziasse. Dopo la fuga della sorella maggiore, la madre ne aveva seguito le tracce. Nel momento in cui l’assemblea degli anziani decide di bandire Nomi, per la sua condotta non irreprensibile, al padre non resta altra scelta che quella di partire. Altrimenti, dice la ragazza, «io sarei stata per lui come un fantasma, una figlia che amava ma che doveva far finta di non vedere». E, qualche riga più in là, aggiunge: «Perché me ne andassi da quel paese bisognava che se ne andasse prima lui». A quel punto la deduzione retroattiva appare ineludibile: «L’idea che mia madre se ne fosse andata per risparmiare a mio padre il dolore di dover scegliere tra lei e la chiesa, sapendo che ne sarebbe morto, era il finale che preferivo».
Se i gruppi chiusi esaltano le personalità dei singoli membri, questi complicati atti d’amore all’interno della severa comunità mennonita potrebbero mostrare i nervi scoperti dell’America, la cui pulsione isterica, sebbene venisse subito fortemente contrastata, non è mai scomparsa del tutto, da quando, con ogni probabilità, si manifestò per la prima volta a bordo della Maryflower.

E siccome gli americani hanno colonizzato l’inconscio dell’uomo occidentale, forse non sarebbe azzardato supporre che la riflessione di Nomi Nickel, pronta a seguire le orme del padre alla ricerca di una verità che sembra sfuggire a entrambi, riguardi tutti noi. Chi potrà dire alla sua partenza di aver visto, come assicura Isaia, i monti e i colli gridare di gioia e gli alberi dei campi battere le mani?

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