Alla fine un giudice a Valladolid si è preso la responsabilità del gesto che da tempo era stato evocato dal governo spagnolo e dagli intellettuali che si affollano intorno al premier socialista José Luis Zapatero; quindi era un gesto atteso e persino incoraggiato. I giudici in Spagna sono un po' come quelli in Italia, un certo numero di loro ama comparire quanto lo amano delle aspiranti Veline, e il risultato in questo caso è garantito. Il giudice a Valladolid forse sa che la sua decisione potrebbe avere presto l'effetto a valanga di una scelta che diventa nazionale, ma che contiene fin da oggi il rumore di una polemica mondiale.
Venga rimosso, ha sentenziato il giudice, il crocifisso dalle aule e dagli spazi comuni delle scuole pubbliche. È un simbolo religioso, dunque non ha nulla a che vedere con l'istruzione e l'educazione che uno Stato laico deve garantire, e che deve essere libero da qualsiasi genere di condizionamenti. La Spagna cupa e genuflessa di Francisco Franco e dell'Opus Dei lascia definitivamente il posto a un film di Pedro Almodóvar. Forse un film che deve ancora scrivere, libero infine da conflitti.
Ero molto giovane, e mi credevo comunista, ma provavo un grande fastidio, che sarebbe stato portatore di buone riflessioni, quando nelle giornate elettorali, scrutatori e rappresentati di lista del Partito comunista italiano entravano nelle scuole adattate a seggi e esigevano dai presidenti la rimozione del crocifisso appeso dietro alla cattedra. Era lo stesso che da ieri il giudice di Valladolid non vuole più, ai militanti del Pci sembrava fosse lì, incombente e minaccioso, a invitare, anzi a pretendere di condizionare gli elettori che avessero deciso di non votare per la Democrazia cristiana. Mi pareva allora quel gesto non solo superfluo e inutile, soprattutto volgare e stupido.
Continuo a pensarla allo stesso modo, anche perché nel frattempo ho avuto il privilegio di vedere centinaia di rappresentazioni artistiche e meno artistiche del Cristo senza che queste visioni abbiano turbato o messo in crisi la mia convinzione laica; certamente hanno arricchito la mia capacità di distinguere il bello. Di più, negli anni recenti, gli anni del terrorismo islamico, della grande paura, dell'11 settembre, del tentativo di minare le certezze dell'Occidente, che stanno nella libertà e nella democrazia, le nostre radici cristiane sono diventate un punto fermo. Sono certa che una Costituzione ideale di un'autentica unione politica europea dovrebbe ribadire l'esistenza e la forza di queste radici. Credo anche che Gesù Cristo, così come noi lo rappresentiamo in croce, come ce lo immaginiamo nelle nostre vite e nella testa nostra oltre i Vangeli, e ben oltre la pratica quotidiana della Chiesa, sia stato uno di quei geni rivoluzionari che a costo della vita e con la fatica del corpo ha imposto la forza dell'individuo sulla prevaricazione del sacro.
Su Il Giornale di domenica scorsa un'intervista e due interventi commentavano il libro di un collega, Pietrangelo Buttafuoco, che attacca il pensiero occidentale e i suoi valori libertari, ritenendoli portatori di decadenza. In Cabaret Voltaire un furore integralista spinge l'autore a osannare come grande uomo di fede l'ayatollah Khomeini, a difendere l'attuale presidente dell'Iran, Mahmoud Ahmadinejad, addirittura come campione dei diritti della donna. Insomma il libro esalta il senso del sacro, la tradizione, la preghiera dell'islam contro il vuoto dell'Occidente, orbo di spiritualità e pieno di dubbi, a partire dalla cattiva lezione degli illuministi e di Voltaire.
Ho letto il libro rabbrividendo per l'apprezzamento di una condizione religiosa che all'uomo chiede immutabilità, violenza, perfino esige stragi per la conquista del paradiso.
Nulla è più lontano dell'incubo che questo libro rappresenta ai miei occhi, nella sua esaltazione dell'islam, del Cristo che si è fatto uomo sfidando le certezze ed esaltando il dubbio. Meglio tenerselo, nelle scuole e non, come si fa per un oggetto prezioso, quasi un talismano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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