Toh, ora l’Economist non è più «autorevole»

L’Italia nel 2007 avrà il peggior Pil del mondo. Lo scrive il settimanale The Economist, non è la prima volta che accade (è la terza consecutiva) ma la novità è che improvvisamente il fatto sembra non interessare nessuno.
Enfatizzata quando governava Berlusconi, la notizia ieri è letteralmente sparita dal circuito informativo nazionale. Non siamo tra quanti pensano che il settimanale londinese abbia ragione a priori e sia sempre accompagnabile dal prefisso «autorevole», né tra coloro che pensano che basti attaccare Berlusconi come fece l’ex direttore Bill Emmott per entrare nell’Olimpo del giornalismo. Tuttavia il fenomeno è curioso e ci dà lo spunto per fare un paio di modeste riflessioni.
Regime. La vulgata dice che c’era all’epoca di Berlusconi ed è sparito quando si è intronizzato Prodi. In effetti, la censura in quel periodo buio della storia italiana era fortissima, ma con indomito coraggio nell’epoca nefasta del Cavaliere nero i quotidiani citavano l’Economist come una bolla papale, le televisioni vi dedicavano speciali e interviste, le agenzie di stampa sembravano il Tamigi in piena. Sfidavano il regime. Ora governa il centrosinistra e nulla s’ode, nessuno freme, tutto tace. La notizia è finita nel cestino perché quel regime non c’è più, siamo finalmente una nazione libera.
Crescita. È quella economica promessa dal presidente del Consiglio Prodi quando ha varato la legge finanziaria che dovrà dispiegare i suoi taumaturgici effetti nel 2007. L’Economist, con una semplice tabella, prende in esame le 43 nazioni più o meno industrializzate e da questo paragone emerge che l’Italia nel 2007 sarà il fanalino di coda mondiale. A noi del Giornale questo sembrava un metro di confronto sufficiente a spiegare che le parole di Prodi e del ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa stridono con la realtà e che la crescita economica non ci sarà. All’epoca di Berlusconi questo fatto era degno di nota, ma da quando c’è Prodi le valutazioni econometriche (e giornalistiche) sono cambiate perché ormai siamo una nazione libera.
Politica. In Italia comprende tutte le sfere dello scibile. Interessantissima, per esempio, l’azione esemplare del vicepremier Francesco Rutelli contro Mel Gibson e il suo film Apocalypto, altamente diseducativo. Impegnati a prendere posizione e far sentire la vibrante protesta sulla questione della violenza e il declino della civiltà Maya, la politica non ha perso tempo nel commentare quel raffronto offerto dall’Economist. Neppure il centrodestra ha sentito l’impulso di darci una sbirciatina. Perché perdere tempo a leggere un noioso settimanale inglese quando si può tutti insieme appassionatamente commentare un film mai visto? Ormai siamo una nazione libera. E adulta.
Morale. È quella che il centrosinistra sta con pazienza e dedizione insegnando agli italiani. Ieri il ministro dell’Economia ci ha spiegato che va ritrovata l’ambizione nazionale e al primo posto della sua agenda ci sono i piloti, i magistrati e in generale gli italiani, quel popolo che, secondo lui, spende i suoi soldi in beni superflui e non prende esempio da Prodi che indossa lo stesso giaccone da sci da dieci anni (notizia fondamentale che ha conquistato le prime pagine dei giornali). Neppure una parola sul Pil (Prodotto interno lordo) e sull’Economist che imperterrito ci assegna la maglia nera, a dispetto di una Finanziaria virtuosa, approvata ovviamente per rilanciare la nazione libera.
Futuro. Siamo all’inizio di un anno da non dimenticare, è già facile immaginare sermoni dall’alto del Colle, pezzi di maggioranza dire cose opposte, propositi riformisti enunciati e bocciati perché altrimenti salta la maggioranza e pure la mosca al naso ai sindacati. Salvo sviluppi clamorosi, la fine dell’anno sarà come questo inizio.

Il Paese avrà perso ancora tempo prezioso, ma non importa perché con eroismo l’Italia avrà guadagnato ancora un anno di libertà, in attesa che sopraggiunga, di nuovo, l’odiato regime e l’Economist torni ad essere letto e ancor più citato.

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