Toh, sulla "libera stampa" è sparita l’inchiesta di Bari

C’è chi può e chi non può. «Io può», come avrebbe detto il mitico presidente del Catania, Angelo Massimino. Scrive Massimo Giannini sulla Repubblica di ieri: «Lo status speciale di questi giudici, per la cruciale importanza delle questioni di principio sulle quali sono chiamati a decidere e sui quali poggia l’intero Stato di diritto, lo sottopone a un “self restraint” infinitamente maggiore, e non indiscutibilmente minore, rispetto a quello cui devono sentirsi sottoposti un gip, un gup, un pm o un magistrato di Corte d’appello». L’indignazione di Giannini si rivolge contro i giudici costituzionali Mazzella e Napolitano che hanno cenato con Berlusconi, Alfano e Gianni Letta. «Non si fa», sentenzia l’editorialista di Repubblica. Si viola la «terzietà», termine orrendo che vuol dire che i magistrati, anche quelli della Corte, dovrebbero essere al di fuori e al di sopra dello scontro politico. Ma in che Paese vive Giannini? Uno dei motivi di maggiore disagio di quanti vivono a sinistra, ma sono stanchi dei luoghi comuni, è sicuramente il «doppiopesismo». Ciò che va bene se fatto da una parte, diventa disdicevole se fatta dall’altra.
Sono decenni che le procure di punta e anche l’Alta corte fanno parte del gioco politico ristretto. Giudici costituzionali sono stati parlamentari o uomini di punta della sinistra. I magistrati entrano ed escono dalla politica a loro piacimento. Non c’è in Italia una lobby che gode di una capacità di pressione più influente di quella dei pm. Tengono sotto scacco l’intero sistema istituzionale. Pochi giorni dopo l’invito del presidente Napolitano ad una moratoria in vista del G8, per consentire al Paese di presentarsi come merita al cospetto della comunità internazionale, un pm ha chiesto una pena di due anni per il capo del coordinamento dei servizi segreti, il prefetto De Gennaro. Non è un mistero che molti affidano le speranze di una defenestrazione di Berlusconi alla decisione dell'Alta corte sulla costituzionalità del lodo Alfano nella convinzione che la sua incostituzionalità riconsegnerebbe il premier alla catena giudiziaria.
Il problema politico non è l’influenza della sinistra nella magistratura ma il suo contrario. È l’esistenza di un potere mediatico-giudiziario che interviene pesantemente nella politica. C’è stata una stagione in cui la sinistra aveva coltivato una relazione speciale con la magistratura. Era una forma estrema di autodifesa e anche l’occasione per un rilancio politico. La magistratura demoliva una parte del sistema politico e la sinistra «giustizialista» si incaricava di togliere le macerie e poi sperava di costruire un nuovo edificio. L’esposizione mediatica dei presunti colpevoli completava l’opera. Le inchieste venivano annunciate a cronisti ben disposti con mesi d’anticipo. Si sapeva in tempo reale su che cosa lavorava la procura di Catanzaro piuttosto che quella di Milano. Le indagini andavano da una parte sola e il sistema mediatico-giudiziario doveva solo selezionare i frutti più maturi.
Qualcosa sta cambiando. Qualcosa si è interrotto nel sistema mediatico-giudiziario. Prendete il caso di Bari. Le escort, le cene con il premier, il giro di ragazze facili. L’intero sistema mediatico si precipita nel capoluogo pugliese. Bari «caput mundi», ovvero si avvera l’antico detto: «Se Parigi avesse lu meri, sarebbe una piccola Beri». Poi la storia prende un'altra piega. Le escort, dicono le intercettazioni telefoniche, allietano le serate di dirigenti del Pd, viene fuori una cronaca di tangenti e di appalti facili in cui è coinvolto un ex assessore Pd, che sta per diventare senatore, e probabilmente qualcuno che è venuto dopo di lui. Nichi Vendola azzera la giunta regionale. I dalemiani sono decapitati. Inizia anzitempo la guerra di successione a Vendola. Il Pd si prepara a sostituire Michele Emiliano, il potente sindaco rieletto alla grande nelle ultime amministrative, con Francesco Boccia, quarantenne amico di Enrico Letta che aspira alla candidatura alle prossime regionali per il Pd.
È una «storiona» politica e giudiziaria. C’è di mezzo la «questione morale», c’è di mezzo la guerra interna ai dalemiani e fra i dalemiani e gli altri. È un pezzo di società meridionale che viene alla luce. Si scopre che il vero affare per una parte dell'imprenditoria del Sud sono le commesse sanitarie. Nessuno produce nulla, tutti vendono apparecchiature e grazie alle «entrature» nei palazzi del potere si costruiscono fortune. E si costruiscono carriere politiche e con le carriere politiche anche stili di vita. La vendita dell’apparecchio per la circolazione extracorporea prepara le serate allegre con le escort di lusso. Basta leggere le carte, ascoltare la gente e raccontare.
Invece i grandi giornali hanno declassato Bari. Non se ne parla più. Ieri il Corsera non aveva una sola riga, Repubblica parlava di una talpa che avvertiva gli indagati, La Stampa pensava ad altro. Bari non è più la sentina di tutti i vizi. È stata riabilitata da quando lo scandalo non punta più, o non solo, su palazzo Grazioli ma investe gli edifici regionali sul lungomare Nazario Sauro.
La «questione giudiziaria» è ormai fondamentalmente una questione mediatica. Ci sono pm che hanno fortuna e pm che non sono sulla cresta dell’onda. Quelli di Bari hanno avuto il loro momento di celebrità. Ora non interessano più nessuno.

Gli editorialisti di Repubblica hanno altro da fare. È la solita questione della doppia morale. Solo che le voci corrono, la gente sa, sui blog si racconta tutto. Per vincere, la doppia morale ha bisogno del pensiero unico. È finito.

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