Tom Cruise: il Top gun che pilotò gli anni '80

Davide Steccanella racconta come l'attore diede un volto ai desideri di rivalsa di una generazione

Tom Cruise: il Top gun che pilotò gli anni '80

Ronald Reagan, l'edonismo, la fine della Guerra fredda. Erano i tanto vituperati Anni '80: per tanti ancora oggi anni di vuoto pneumatico, il cambiamento radicale di una società che avrebbe attuato una cancellazione totale dei valori più profondi per sostituirli con il consumismo e l'apparenza. Ora un libro Tom Cruise. L'eterna sfida (Ghibli, pagg.302, euro 20) dello scrittore e saggista Davide Steccanella, attraverso la biografia dell'attore che di quegli anni è considerato l'emblema più negativo, ribalta i pregiudizi.

Cruise è nato 2 mesi dopo la pubblicazione di Blowin' in the Wind, canzone manifesto di Bob Dylan. Era il 1962 e l'attore è cresciuto in una famiglia medio-borghese: di quelle che per i futuri ventenni degli anni '80 aveva previsto una esistenza da Everyman, quell' uomo qualunque (titolo di un libro di Philip Roth, autore che Steccanella cita più volte) che proprio quella generazione anni '80 avrebbe rifiutato. Come nei romanzi Le mille luci di New York di Jay McInerney o Meno di Zero di Bret Easton Ellis quella generazione poi ribattezzata di baby boomers credeva di più nel cellulare che aveva visto per la prima volta nel film Wall Street con Michael Douglas che in ogni altro obiettivo. Perché sono gli anni '80 Steccanella ripercorre tutta la carriera di Cruise - i più importanti e formativi per Cruise. Lui cresciuto a Syracuse, a 398 kilometri da New York una cittadina a quei tempi non proprio allegra - vedeva, come tanti suoi coetanei, proprio nelle mille luci della metropoli l'unica possibilità di emergere: ed emergere, fare carriera qualunque fosse era lo scopo di ogni ragazzo adolescente degli anni '80. Ma con il primo Top Gun Cruise fu protagonista (in)volontario di un cambiamento sociale radicale. Top Gun rappresenta la ritrovata grandezza americana contro L'Impero del Male sovietico e la grande ripresa economica. Gli anni '80 furono la risposta di un Paese ad una crisi che ne aveva minato orgoglio e certezze, seguendo lo stendardo di un Presidente ex attore di mediocre talento, ma grande comunicatore in grado di appellarsi ad alcuni punti cardine della cultura americana. Su tutti l'individualismo. Top Gun di Tony Scott rimane non solo l'opera simbolo dell'era di Reagan, ma anche uno dei film di propaganda più riusciti di sempre. Sin dall'inizio, Top Gun si prefigurò come una sorta di metafora di ciò che era stata l'America in quei dieci anni. Tutto iniziava con il protagonista, Maverick Mitchell e la sua spalla Goose Bradshaw intenti a salvare la vita del loro collega Cougar Cortell dopo un contatto ravvicinato con una coppia di Mig sovietici. Cougar, vinto dal panico e dal terrore di lasciare orfano il figlio, si dimette. Ciò aprirà la strada a Maverick e a Goose, per la United States Navy Fighter Weapons School, la famosa Top Gun dove vengono formati i migliori piloti da combattimento della Marina Americana. Cougar, debole, pavido, rappresentava quell'America che era scappata dal Vietnam, aveva ceduto alla paura, che aveva pensato più a sé stessa che al dovere di salvare il mondo dal male comunista, diventando col tempo un peso per il resto del Paese. Lo stesso protagonista, Maverick, era legato a quel conflitto, alla grande sconfitta americana, visto che vi aveva perso il padre, anch'egli pilota, in circostanze mai chiarite.

Sin dall'inizio Maverick si pone in perfetta contrapposizione rispetto ai reduci del Vietnam che il cinema autoriale aveva proposto in quegli anni. Non è un ragazzo distrutto e pieno di rimpianti, non è un giovane debole e perso. Maverick sa cosa vuole, dove vuole arrivare. Top Gun ci mostrò quell'accademia come una sorta di tempio dentro il quale vivevano giovani guerrieri che non vedevano l'ora di poter schiacciare il nemico, di vendicare l'America in cerca di riscatto dalla tragedia appena archiviata. Non è un caso che dopo il successo del film più di 500mila giovani chiesero di arruolarsi. E l'edonismo? Tutto il film sembra esserne impregnato perché Cruise- Maverick e i suoi compagni top-gunners mostravano fisici scolpiti da ore di palestra, scolpiti e pompati, quasi plastificati, connessi all'estetica dei videoclip (altra grande arte degli anni '80) e ai canoni della bellezza machista. Eppure c'è una breve scena che sembra ribaltare tutto: l'altro volto di quegli anni. Il match di pallavolo dei protagonisti su una spiaggia che richiama senza ombra di dubbio la libertà e al contempo il caos del sogno californiano: e il regista, grazie anche alla colonna sonora fece intuire che dietro quel machismo tanto esibito si nascondeva una parvenza di omosessualità, anticipando in quei vituperati anni '80, le lotte civili che sembrano state inventate negli ultimi anni.

Altro capolavoro d'arte di quel file degli anni '80 fu appunto la musica e i videoclip che permettevano un'espressione artistica libera. Erano gli anni dei sintetizzatori, delle batterie con il riverbero, suoni che credevamo sarebbero passati di moda, ma che oggi non suonano datati, e, contemporaneamente, ci riportano immediatamente a quegli anni. Erano anni in cui la musica e il cinema iniziavano a farsi promozione a vicenda: i videoclip di Take My Breath Away dei Berlin e di Danger Zone di Kenny Loggins, erano in onda in rotazione continua. Se Take My Breath Away è il lato romantico di Top Gun, quello adrenalinico è Danger Zone.

Perché è questo il segreto dei vituperati anni '80: non una vetero-nostalgia tanto di moda oggi in tutti i campi, a partire dalla politica, ma la capacità di reinventare il passato senza passare dalla cancel culture.

Non c'era bisogno: perché si viveva di contraddizioni in tutte le arti e nella vita e certo non avremmo immaginato lo scenario di oggi dove il politicamente corretto non ha edonizzato tutto, ma l'ha gravemente omologato.

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