nostro inviato a Parma
Cè unaltra strada, contorta ed ombrosa, violenta e dimenticata, che potrebbe aggiungere un tassello a questo rompicapo infinito che è il rapimento di Tommaso. Un percorso che sfiora la Sicilia ma parte da molto più vicino. Da un paesello che si chiama Bellaguarda di Viadana, provincia di Mantova. Qui abitava un ragazzo di ventitré anni, figlio di un camionista siciliano e padre di una bimba piccola. Svanì nel nulla il 30 settembre del 2003; fu ritrovato cadavere lanno dopo, sepolto in una golena del Po. Ucciso a botte. Anche questo fa parte del percorso a ritroso che gli investigatori stanno compiendo. Lui si chiamava Marco Stuto, arrivava dalla provincia di Catania. Per quel delitto, maturato tra ruggini e spropositati rancori, un anno più tardi finì in carcere Roberto Mazzeo, professione falegname. Cosa centra tutto questo col piccolo Tommy, sparito da ormai un mese dalla sua casetta di Casalbaroncolo?
Un perverso filo del destino racconta che lassassino di Stuto fosse a quel tempo il nuovo compagno di Francesca Traina, ovvero la moglie divorziata dalla Sacra Rota di Paolo Onofri, il direttore delle poste padre di questo bimbo rapito senza spiegazioni. Ed ecco spuntare di nuovo, nella selva delle indagini che si dipanano tra mille piste, una storia di quattrini, lennesima. Non riciclaggio ma soldi che sembrano spariti.
Prima di ritrovarsi in cella Mazzeo, ormai alle strette di fronte alle accuse che lo avrebbero da lì a poco stritolato, decise infatti di vendere tutto. Officina, magazzino, casa, quella che aveva comprato assieme allex moglie di Onofri. Evitando così di vedersi sequestrare i beni. A lei, come registrarono le intercettazioni, raccontava di non preoccuparsi. Di «fidarsi», ma «in caso fosse accaduto qualcosa di brutto almeno avrebbe potuto restare tranquilla». Il denaro ricavato Mazzeo lo giustificò in tribunale spiegando che voleva saldare, prima di essere arrestato, i tanti creditori. Banche in primis. Ma qualcosa, si scopre oggi, forse manca allappello. Almeno 250mila euro. Che sembrano evaporati nel nulla.
Denaro per pagare, dunque, il falegname dovrebbe averne avuto. Almeno per i parenti della sua vittima, le parti civili. Eppure i genitori, il fratello e la sorella di Stuto, oltre alla figlioletta, nonostante la provvisionale di circa 80mila euro, disposta dai giudici a titolo di risarcimento parziale, in attesa del sentenza civile, finora non hanno visto un ghello.
Ed ecco, a questo punto, riannodarsi alcuni particolari. Attraverso i racconti pesanti e i sospetti, del padre di Stuto, Mario, ex camionista. Lui oggi si dice convinto che tra la sparizione di quel «bottino» e il sequestro del piccolo Tommaso vi sia un collegamento. «Mazzeo aveva ottenuto circa 250mila euro, soldi che hanno fatto gola a qualcuno - punta lindice senza remore -. Non so se in Sicilia o dalle vostre parti, ma di certo qualcuno legato a lui lo ha aiutato a far sparire il denaro». Poi, tagliente: «Sento di non sbagliare se dico che si potrebbe cercare qui nellisola. Ne sono certo al novantanove per cento...». È deciso: la prossima settimana verrà a Parma per raccontare tutto.
Gli inquirenti hanno parlato nel carcere di Vigevano con Mazzeo, il killer di quella brutta storia. Un colloquio investigativo, molto informale. A questo punto non possono non tornare alla mente le parole di quel Pasquale Barbera, il capocantiere nella ristrutturazione di «villa» Onofri. Raccontava di una scatola ricolma di denaro, zeppa, di banconote da cento e cinquecento euro. Una montagna di denaro. Gliela avrebbe mostrata, chissà mai perché, proprio Paolo Onofri. Durante una pausa di lavoro.
Gli inquirenti, compresa la Guardia di finanza, continuano a setacciare conti e movimenti bancari dellex direttore delle Poste e dei suoi amici. Ma il contante è difficile da rintracciare. Non ha odore, anche quando puzza. E magari potrebbe spiegare il perché di un sequestro ancora senza movente.
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