È molto difficile immaginare un destino peggiore di quello che la vita (davvero bastarda, a volte) ha riservato ai due poveri bambini che ieri a Rho hanno visto loro padre che uccideva loro madre, e che poi si toglieva la vita. Quale psicologo, quale medico dellanima potrà sanare la ferita che si porteranno nel cuore fino allultimo dei loro giorni? La mamma e il papà, nel loro universo affettivo, erano tutto, erano lamore, e ora sono il nulla e lodio. È come se per loro si fosse spezzata lorigine stessa della vita.
Luxoricida-suicida viene descritto come un marito-padrone che aveva reso insopportabile lesistenza di sua moglie. Qualcuno potrebbe aggiungere che forse aveva nel Dna linput della gelosia, del possesso asfissiante, e infine della violenza. Non sappiamo se sia così. Può anche darsi di sì.
Ma sarebbe sbrigativo e banale chiudere la tragedia di Rho come un caso personale. Sono troppe le separazioni che finiscono in questo modo: nel sangue. E quelle che non finiscono nel sangue, ma che lasciano comunque macerie umane, sono ovviamente ancora di più, solo che sui giornali non compaiono, comè anche logico che sia. Si dice che allorigine di tutto ci sia lincapacità di accettare una separazione. Certo che è così. Ma per quale motivo dovremmo essere tutti, e sempre, capaci di «accettare» la fine di un amore?
Non cè neanche bisogno di precisare che uccidere chi ci ha lasciati è un gesto terribile e senza alcuna giustificazione. Lesimente del delitto donore, grazie al cielo, è da tempo scomparsa dal codice penale. Non cè tradimento che giustifichi una vendetta e non cè separazione che giustifichi la violenza.
Però va anche detto che il nostro mondo contemporaneo ha voluto illuderci che «laccettazione di una separazione» sia molto più alla nostra portata di quanto non lo sia, e di quanto mai lo potrà essere. Dai tempi (da non rimpiangere) in cui il matrimonio veniva considerato intangibile fino al punto da diventare, a volte, una sorta di condanna allergastolo, siamo passati ai nostri tempi faciloni del «restiamo amici» e delle «famiglie allargate» che si ritrovano tutte insieme a Natale con i figli contenti di stare con il nuovo fidanzato di mamma e la nuova compagna di papà. Tanto, cè sempre qualche fiction tv a mostrarci quanto è bella la flessibilità: in amore sintende, quella sul lavoro resta sempre esecrabile. In un memorabile film degli anni Settanta - Romanzo popolare - un grande Ugo Tognazzi-operaio metalmeccanico milanese fa professione di fede nella «coppia aperta» e nella «conquista civile del divorzio» fino a quando scopre che la giovane moglie, Ornella Muti, lo tradisce, e allora si spacca la testa contro una parete.
Per carità. Gli amori possono finire, specie quando non erano amori, e a volte la separazione diventa davvero inevitabile. La Chiesa stessa - pochi lo sanno - riconosce in casi estremi la possibilità della separazione; quel che chiede ai credenti è di non risposarsi, che è una cosa diversa. Insomma. Lungi da noi voler dire che un divorzio non possa essere a volte non solo inevitabile ma anche necessario.
Quel che è sbagliata è la banalizzazione che si è fatta, dello sfascio di una famiglia. Lillusione che possano bastare un po di colloqui con lo psicologo dellAsl per «fare accettare» la fine di un amore. Che invece resta sempre qualcosa di molto, molto simile alla morte. Muore una parte di sé, muore il futuro. È politicamente scorretto dirlo, ma spesso la separazione è ancora più difficile per luomo, che in un colpo solo perde, oltre alla presenza della moglie, anche quella dei figli.
Lo ripetiamo tanto per essere a prova di cretini: nessuna violenza può essere giustificata, anche se a commetterla è un padre straziato per limpossibilità di crescere i suoi bambini. Ma dobbiamo aprire gli occhi su una piaga sociale, anzi umana, che è di gran lunga la più dolorosa del nostro tempo, e che rimuoviamo anche per costruirci un gigantesco alibi collettivo.
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