Torna a splendere la facciata dell’Arciconfraternita Bergamasca in piazza Colonna

Il restauro è costato 500mila euro ottenuti grazie al gettito dell’8 per mille

Laura Gigliotti

C’era la Bergamo che conta e non solo, l’altra sera all’inaugurazione del restauro delle Chiesa dell’Arciconfraternita dei Bergamaschi in piazza Colonna. Santa Messa officiata dal vescovo della città monsignor Roberto Amadei, presenti il sindaco di Bergamo Roberto Bruni, il presidente della Provincia Valerio Bettoni, il prefetto, autorità civili e religiose e invitati illustri, il sindaco Walter Veltroni e il ministro per i Beni Culturali Francesco Rutelli. Ma l’ospite d’onore - «senza di lui non saremmo qui» - era Gianni Letta, dice Lino Bosio, memoria storica del sodalizio che conta oggi 187 membri. Quando siamo andati a chiedergli aiuto come Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ci ha detto «fate una domanda veloce - ricorda Bosio - e il miracolo si farà». Il miracolo è stato un finanziamento specifico (l’8 per mille del gettito Irpef 2002 a gestione statale), oltre 500mila euro che ha coperto le spese per i lavori di restauro di facciata, volta, altare maggiore e di tre dipinti di pregio. La nuova illuminazione è dono di un generoso sponsor. Resta da sistemare l’Oratorio. «Una specie di focolare» definiva l’Arciconfraternita il bergamasco più illustre, papa Giovanni XXIII. «Io quel focolare l’ho vissuto - confessa Letta - prima di Palazzo Chigi, quando stavo di lato, al Tempo, a Palazzo Wedekind». E rammenta come vi abbia trovato conforto in anni difficili, quando sulle sue scalette andavano a prendere il fresco i tipografi. E dopo la morte del senatore Angiolillo, allorché si temeva per le sorti del giornale, fu un bergamasco, Carlo Pesenti, a rilevarlo e a farlo vivere. L’attuale intervento, curato per la Soprintendenza da Luciano Garella e Egidia Coda, fa seguito e completa quello effettuato fra l’86 e il ’94 che aveva riguardato opere di consolidamento, deumidificazione e valorizzazione della Chiesa e dei locali attigui, la cosiddetta «Casa dei bergamaschi». La Confraternita dei bergamaschi (insignita del titolo di Arciconfraternita nel ’700), nasce nel 1539 per iniziativa del canonico Gian Giacomo Tasso. Roma conta allora 130mila abitanti, 92 parrocchie e una rete associativa di 107 confraternite. Alcune costituite da persone provenienti da altre «patrie» come la bergamasca e dall’identità forte erano dette «nazioni». Il Capitolo di S. Pietro assegna ai bergamaschi (che prima si riunivano nella chiesetta di S. Bartolomeo, là dove si trova ora Palazzo Chigi), la Chiesa di S. Macuto in via del Seminario a cui viene aggiunto un oratorio e un piccolo ospedale che nel 1589 ospiterà anche il poeta Torquato Tasso. Ma nel 1725 Benedetto XIII assegna S. Macuto ai gesuiti che andavano espandendosi nella zona. I bergamaschi si trasferiscono in via di Pietra nell’ospedale detto dei «pazzarelli» e nella chiesetta annessa che si apriva a piazza Colonna, detta di S. Maria della Pietà (più tardi intitolata ai santi Bartolomeo e Alessandro), che restaurano costruendo un bell’oratorio. La chiesa, di origine cinquecentesca, è stata nel tempo oggetto di molte trasformazioni, le più significative nel ’700 con la armoniosa facciata disegnata da G.B. Contini e celebrata da Achille Pinelli. A Gabriele Valvassori si deve la sistemazione interna nonché la costruzione del Palazzo dei Bergamaschi. Nell’800 ci mette le mani anche Valadier, ma l’attuale assetto interno risale all’inizio del ’900 quando l’architetto Giuseppe Sacconi, quello del Vittoriano, incarica Emilio Retrosi, suo pittore, scultore e decoratore di fiducia, di rifare la decorazione. «Con questo restauro si è posto rimedio a due problemi - precisa l’architetto Garella -.

Il dilavamento della facciata è stata l’occasione per ripristinare la sua facies vera, settecentesca, del colore dell’aria. La seconda operazione ha riguardato l’interno dove per i gravi problemi dovuti alle infiltrazioni d’acqua si erano persi dorature e stucchi».

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