Le torri umane dove sventola l’indipendenza

Viaggio tra gli ultimi simboli di una tradizione autonomista sopravvissuta al regime di Franco e che oggi si sente minacciata dalla deriva zapaterista: «Siamo la coscienza di un Paese che non dimentica le sue radici»

Le torri umane dove sventola l’indipendenza

Nino Materi

Nostro inviato

a Barcellona

In piazza San Giacomo, nella Barcellona vecchia, la torre umana si materializza in pochi secondi: un attimo prima vedi solo una massa informe di persone, un attimo dopo vedi ergersi dalla folla le fondamenta di un «edificio» fatto di corpi che raggiunge ben 9 piani. Una «costruzione» unica al mondo - quella dei castellers - che per la cultura catalana è molto di più di una semplice tradizione.
María Luisa Albacar Fracanzani, dell’Ufficio spagnolo del turismo di Barcellona, si entusiasma e corre a informarsi sulle ragioni di quello spettacolo fuori programma; qualche rapida domanda e il mistero è svelato: ricorre il centenario della fondazione di uno dei più antichi gruppi di castellers della Catalogna. Un’occasione unica per capire cosa rappresenta nella Spagna del retaggio franchista e in quella della deriva zapaterista l’elevarsi di una piramide di pantaloni bianchi e camicie rosse che sale a sfidare il cielo. Scalatori dell’aria simboli di una atavica ricerca di libertà o meglio di autonomia, visto che ci troviamo nella capitale della Catalogna. Qui il fuoco indipendentista non scotta pericolosamente come tra gli Eskualdunac della regione basca, ma la fiamma separatista riscalda comunque cuore e anima.
Loro - i castellers acrobati - nella Barcellona del modernismo di un Gaudì ormai in versione movida, rappresentano il passato che non ci sta a cedere il passo alla neocultura dei trend, del look, dello shopping, del glamour del fashion. Termini che fanno arrabbiare la nostra amica Marìa Luisa, italiana di nascita e iberica di sentimenti: «Guai a essere schiavi delle mode linguistiche e guai a farsi intruppare nella tribù delle banalità turistiche. Intere comitive arrivano a Barcellona pretendono di fare il Ronaldinho-tour tra le discoteche e i locali frequentati abitualmente dal campione brasiliano. Poi ripartono senza aver visto i quadri di Picasso, il museo d’arte della Catalogna, il palazzo della Pedrera, la Sagrada Família e le tante altre bellezze di cui è ricca questa città che sprizza energia da ogni poro. Sa cosa mi chiedono certi italiani? Prima fanno una premessa del tipo “Vorrei scoprire l’essenza di Barcellona...“ e dopo pretendono di visitare, invece della Casa Batlló, la casa dove Fabio Volo ha registrato la trasmissione “Italo Spagnolo” per Mtv».
Così ogni giorno va in scena l’avvincente braccio di ferro tra identità nazionale e riconoscimento di diritti sempre nuovi: non solo quelli dei pacs e delle unioni gay, ma addirittura quelli dei ciclisti che lungo la Rambla pedalano nudi - sfidando l’indubbia scomodità del sellino - per protesta contro l’invadenza delle auto. E in tale contesto l’istituzione, anacronistica eppure attuale, dei castellers è come linfa vitale per le radici di un albero che rischia di seccarsi.
Le origini dei castellers risalgono alla fine del diciottesimo secolo nella città di Valls, quando alcune squadre (in catalano colles) cominciarono a rivaleggiare nella costruzione di diversi tipi delle «strutture umane», come quelle che conosciamo oggi.
«L’atto di salire gli uni sulle spalle degli altri - spiega Michelangel Sarja, «primo maestro» casteller di Tarragona - per noi incarna la difesa della terra dei nostri avi. Il fatto che l’ultimo piano della torre ponga al vertice un bambino rappresenta la speranza che le nuove generazioni non dimentichino le proprie origini. Una storia macchiata dal sangue e dall’ostracismo della dittatura».
Un’epopea che si tramanda di padre in figlio: dal rito della vestizione alle tecniche di arrampicata, essere ammessi nel clan dei castellers è come per un devoto del Papa fare parte delle Guardie Svizzere.
L’esercito dei castellers, però, non difende solo una persona, ma qualcosa di più importante e complesso: l’identità di un’etnia, nei secoli insidiata dalla spada delle popolazioni nemiche e ora paradossalmente minacciata dalle armi del progresso.
Aprire il diario di un casteller è come sfogliare un manuale alchimistico pieno di segreti: «Nei nostri “castelli umani” si distinguono chiaramente tre parti: la pinya, il tronc e il pom de dalt. La pinya è la base della costruzione, sulla quale riposa tutto il suo peso e ha l'obiettivo di ammortizzare il colpo nel caso d'una caduta, ma soprattutto di stabilizzare e fermare la struttura che si alza. Questa struttura verticale, il tronc, è composta di un certo numero di persone in ogni piano, che cambia secondo il castello (tra 1 e 9 persone) e gli dà nome. L'ultimo a salire è l'anxaneta, un bambino o una bambina che quando sale nella cuspide della costruzione alza il braccio e saluta il pubblico».
La costruzione di ogni castello si accompagna con una melodia che indica il progredire della costruzione: il toc de castells. La gralla (simile al piffero) e la grancassa sono gli strumenti che tradizionalmente accompagnano i castells e sono un elemento inseparabile delle feste e delle sue emozioni. L'inizio e la fine di ogni cerimonia hanno le proprie melodie (toc d'entrada a plaça e toc de vermut) che invitano il pubblico ad assistere alla dimostrazione e annunziano poi l'uscita della piazza per andare al pranzo.
Lo show dei castellers si svolge di preferenza a mezzogiorno della domenica, nella piazza davanti al Comune della città, come uno dei più importanti atti della Festa Maggiore in onore del santo patrone.
«Sono molti i giorni durante i quali si possono vedere all’opera i castellers, anche se la “stagione” raggiunge il clou in giugno e durante i mesi estivi per concludersi alla fine di novembre» ci spiega Marcello Rejas, studioso della «Colla Castellera», il principale gruppo dei castellers di Barcellona. L’8 giugno 1969 la Colla esordì con un pilar di soli 4 piani nel corso dell'inaugurazione di un monumento dedicato proprio ai castells nella città di El Vendrell (a circa 6 chilometri da Barcelona). Quel giorno c'erano anche dei gruppi concorrenti che sono ancora in attività: Nens del Vendrell, Colla Xiquets de Valls e i Castellers de Vilafranca».
Negli anni ’70 si facevanno regolarmente castelli di 7 piani, nei anni ’80 i castelli erano già di 8 piani, e alla fine degli anni ’90 si arriva fino ai 9 piani, record detenuto appunto dai Castellers da Barcellona.


«Ci stiamo allenando per arrivare 10 piani - annuncia Carlos De Sousa, il più anziano dei castellers barcellonesi -. Ormai sono vecchio e il mio posto verrà preso presto da un giovane. Perché i castellers non moriranno mai. Così come il nostro sogno di indipendenza».

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