Ma il tracollo dei miliziani non è vicino

Sulla carta sconfiggere le milizie islamiche somale dovrebbe essere una passeggiata per l'esercito etiope, tra quelli meglio equipaggiati, armati e addestrati nella regione, con oltre 100.000 soldati. E in effetti è bastato l'intervento di 10.000, forse 15.000 soldati di Addis Abeba, con una forte componente motorizzata e blindata, artiglieria pesante e il supporto della aviazione, per costringere alla ritirata le corti islamiche, la cui consistenza è stimato in 8-10.000 combattenti, comprese alcune centinaia di volontari stranieri e, forse, un contingente di truppe eritree.
Le corti islamiche parlano di «ritirata strategica», uno slogan piuttosto comune per gli eserciti che fuggono. Indubbiamente lo sforzo di disperdere le truppe su un fronte troppo lungo e di accettare uno scontro campale contro le truppe etiopi e quelle lealiste è stato un grave errore, pagato a caro prezzo, con la perdita di uomini e, soprattutto, armi e materiali difficilmente rimpiazzabili. Questo è infatti un grave problema per le truppe islamiche, che hanno solo un armamento leggero da fanteria, poca artiglieria, rappresentata essenzialmente da mortai, una mobilità relativa, assicurata solo in parte da autocarri civili o trattori, con i soliti pick-up (Teknika) dotati di mitragliatrici che svolgono la funzione di carri armati sui generis. Non c'è contraerea, se non pochi missili spalleggiabili, né un’aviazione.
L'aeronautica etiope, potenziata in occasione del conflitto con l'Eritrea, dispone di una decina di caccia supersonici Su-27 e di cacciabombardieri Su-25, di diverse decine di MiG-21 e 23, di una dozzina di elicotteri da combattimento e di molteplici aerei da trasporto. Questi velivoli hanno condotto attacchi sugli aeroporti somali per tentare di chiuderli al traffico aereo pesante, ben sapendo che armi e munizioni arrivano alle corti islamiche soprattutto per via aerea, poi si sono dedicati ad attacchi contro le colonne in ritirata. Sono attacchi poco efficaci e numericamente significativi, ma hanno un valido effetto psicologico.
Le colonne etiopiche hanno ora il problema di continuare a incalzare l'avversario senza estendere troppo le proprie linee di comunicazione: è già stato un problema portare le truppe in linea e sostenerne l'attività bellica difensiva, ma alimentare un’offensiva in profondità è tutt'altro discorso. I generali etiopici poi vogliono evitare di impegnarsi troppo a fondo in Somalia, devono comunque mantenere un forte presidio al confine con l'Eritrea, dove il conflitto può riaccendersi in ogni momento.

E se le corti islamiche sceglieranno di passare alla guerra di guerriglia e si accentreranno su Mogadiscio la guerra potrebbe essere ben diversa dalla blitzkrieg che tanto piacerebbe alle cancellerie occidentali.
Molto dipenderà dall'atteggiamento della popolazione e dall'aiuto che potranno fornire le scadenti forze lealiste, perché l'esercito etiope può conquistare parte del paese, non mantenerne il controllo.

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