«Tradito dalla sua voglia di essere perfetto»

L’amico parrucchiere racconta l’ultimo incontro: «L’ho visto sotto stress, doveva continuare la carriera»


Il sogno di Vanni, il fratello minore di Gianluca Pessotto è quello di tornare a giocare insieme al calcio, così, una partitella tra amici, lui da mediano e Gianluca da terzino. Perché quella del pallone è una passione che fin da bambini accomuna entrambi, Vanni vive a Lucca e ha appena concluso di giocare il campionato in C1 con la maglia dello Spezia. Hanno vinto lo scudetto e saliranno di girone, ma questa gioia è già alle spalle. «Davvero non riesco a darmi una ragione - racconta Vanni - certo ero io a confidarmi con lui, a sfogarmi qualche volta anche perché Gianluca è mio fratello maggiore». E si sfiora il tatuaggio sul braccio, una rondine maori, simbolo del suo segno zodiacale, come atto scaramantico perché finisca questo incubo.
E così anche Mario Firriolo, parrucchiere di corso Re Umberto: «Ci siamo visti l’ultima volta lunedì sera, siamo stati insieme a casa sua sino alle 2 di notte - racconta - era entusiasta del nuovo incarico, diceva di trovarsi benissimo con gli altri manager, con Alessio Secco e Ciro Ferrara. Poi ci siamo divertiti a fare i pronostici sui Mondiali, abbiamo discusso sull’Ucraina, lui sottovalutava la squadra mentre io ero convinto che avrebbe superato il turno».
Ma allora perché s’è buttato dall’abbaino con un gesto così plateale nella sede della Juventus? «Per me rimane inspiegabile il giorno in cui ha cercato di togliersi la vita - spiega Firriolo -, dovevamo vederci a pranzo, doveva raggiungermi in negozio per poi andare a mangiare insieme della pasta fatta a mano, dei gnocchetti, da una signora qui vicino. Ma è anche vero che nelle ultime settimane era stressato, stanco e dimagrito. Ogni mattina si alzava alle 5 per raggiungere Milano e partecipare a una trasmissione di Sky. In un giorno capitava anche che facesse 6-700 chilometri tra Torino, Milano e Firenze dove era in ritiro la nazionale prima dei Mondiali. Forse non era poi così convinto della scelta di abbandonare il calcio giocato, di mettere le scarpe al chiodo quando ancora lo cercavano squadre sia in Italia che all’estero. Sì, lo vedevo perplesso, incerto, forse combattuto per una scelta presa da solo senza coinvolgere tutta la sua famiglia. Ma da questo a buttarsi nel vuoto rimane una distanza incolmabile. Voi Gianluca non lo conoscete, forse era sotto stress ma perché lui è un perfezionista, uno che vuol fare tutto al massimo e così anche la sera prima di buttarsi continuava a interrogarmi: “ma secondo te sto facendo bene oppure no?” Io però non ho avvertito un’angoscia, uno smarrimento da portarlo a quel gesto. Lui è uno solare, faceva beneficenza ed era sempre disponibile con tutti.

È stato l’unico giocatore della Juve che ha accettato di venire con me al Cottolengo per regalare una maglia a un vecchietto di 75 anni che senza arti cercava un qualche motivo per sorridere. “Certo Mario che ci vengo, andiamoci subito”, mi disse appena io lo proposi e così è stato».
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