In tram, giorno di scuola per "manetta"

Passione e voglia di posto fisso. Turni, sicurezza e caro affitti frenano le vocazioni

In tram, giorno di scuola per "manetta"
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«Piano... attento al separatore... bravissimo». Undici del mattino, via Vincenzo Monti, da bordo del tram 1787, uno dei classici «Carrello» usciti un secolo fa dalle officine Breda e ancora in forma smagliante. A farsi largo tra la pioggia e il pavè, il passato e il futuro dei tram milanesi. C'è Luca Valadè, che il mese prossimo va in pensione dopo trentun anni da tranviere. E ci sono Marco Chesi e Cristiano Iodice, che la divisa blu l'hanno appena messa addosso, e che da Valadè e dal suo collega Roberto Usai stanno imparando come si guida un tram: non un tram qualunque tutta tecnologia, ma questo capolavoro di meccanica. Che dopo gli toccherà condurre davvero nel caos del traffico, pieno di passeggeri con le loro frette e i loro umori: e fuori una città piena di pericoli improvvisi. «I telefoni, le cuffiette, i monopattini. Tutti pericoli che quando ho iniziato io non esistevano», racconta Valadè.

La crisi di vocazioni è nota da tempo, un mestiere che una volta era orgoglio e punto d'arrivo non riesce più a trovare adepti. Marco e Cristiano ci arrivano ad età diverse, Marco ha ventiquattro anni, il tram è il suo sogno di sempre, ha studiato trasporti e logistica all'Ettore Conti, appena è incappato nell'annuncio di Atm ha fatto domanda; Cristiano ha quarantacinque anni, ha fatto a lungo tutt'altro, «poi la vita mi ha offerto questa possibilità e l'ho presa al volo». Nel suo lavoro precedente, racconta, «mi alzavo alle quattro del mattino, quindi i turni non mi spaventano»: nota dolente, perchè proprio quello dei turni - più ancora dei salari o delle aggressioni - è il freno di molte vocazioni. «Anche per me - dice Marco - non è un problema. Se un sabato non posso uscire con gli amici, uscirò il sabato dopo. L'importante è che faccio il lavoro che ho sempre voluto fare».

Dai due veterani, i due apprendisti non imparano solo i segreti della meccanica e della frenata. Certo, visto dal ponte di comando il tram svela la sua complessità: il manipolatore di trazione, l'acceleratore, «da dosare delicatamente se no il tram perde potenza»; il freno che funziona ad aria, e ha per questo il rumore di un soffio, ma sopra c'è un tasto che sparge la sabbia sulle ganasce per garantire che facciano presa. Ma Valadè e Usai sono lì anche per trasmettere qualcosa che sui manuali di istruzioni non si trova, l'orgoglio del mestiere. «Io vivo a Garbagnate - racconta Valadè - e torno a casa con la divisa addosso. Quando mi vedono arrivare non dicono ecco Luca", dicono tel lì el manetta"».

Nel know how che i due vecchi devono trasmettere c'è anche l'amore per i ferri del mestiere. «Ecco, questa è la gugia», l'enorme cacciavite che serve a azionare a mano gli scambi se non scattano da soli. «Questo è invece il fioretto», il rampino per agganciare il cavo del pantografo. E meno male che non esistono più i trollej, le perteghéte che generazioni di tranvieri hanno imparato ad ammansire.

Quando l'Atm ha convocato Marco e Cristiano, ha chiesto loro le preferenze: bus, filobus, tram? Non hanno avuto esitazione, e sono stati accontentati. Così via subito a fare il corso per la patente elettrica, poi li aspettano quindici giorni di guida vera con un istruttore accanto. Come te la aspetti, la prima volta che farai salire dei passeggeri sul tuo tram? Marco: «con un po' di tremarella».

É vero che si guadagna poco? «Non meno che in altri lavori simili - dice Cristiano - poi c'è un bel po' di welfare aziendale. Certo, il fatto di vivere già a Milano aiuta, per chi deve prendere casa è tutto più complicato». Delle storie meno edificanti che si leggono sui giornali, le violenze piccole e grandi, sono consapevoli. «Ma non saremo soli». Dietro la brenta c'è nascosto il pulsante d'allarme, e c'è l'Mvm, il monitoraggio continuo dalla centrale di via Monte Rosa.

«Cose che si spera non accadano», dice Marco. Quello che accadrà di sicuro sono gli altri inciampi quotidiani, il pedone che attraversa con l'occhio fisso sull'iphone, il ciclista che svolta all'improvviso.

«La gente ne fa di tutti i colori, - dice Usai- devi imparare a prevedere tutto perchè il tram a fermarsi impiega cinque o dieci volte più del mezzo su gomma, e se inchiodi i passeggeri cadono e giustamente si arrabbiano, d'altronde non trasportiamo sabbia ma persone. E poi c'è il problema più grande di tutti, quello che abbiamo solo noi tranvieri: il tram non può sterzare». Ma anche con questo Marco e Cristiano impareranno a convivere, quando saranno manetta.

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