Trasformare il museo in mostra è un trucco per fare soldi

Il principio dei musei che si spostano per andare a trovare i visitatori a casa è un tale paradosso che fra qualche decennio ne rideremo. Il visitatore - in particolare quello italiano - è stanco dei suoi musei anche se non li ha mai visti, e preferisce le mostre, meglio se con le code fuori... La trasformazione del museo in mostra diventa il giochetto per invogliare l’annoiato amateur in gita. Alcuni anni fa al Prado fecero un esperimento organizzando una mostra su Velázquez con i dipinti dello stesso museo e qualche aggiunta. Si ebbero visitatori e code. Dunque il museo deve travestirsi, camuffarsi e viaggiare? È il contrario di tutto ciò che, tra Sette e Ottocento, favorì la fondazione dei musei italiani ed europei: la conservazione, la pubblica fruizione, il rapporto con la storia delle città e del territorio, la stabilità. Invece di insegnare a spostarsi con criterio, senza far spendere agli enti, pubblici o privati, milioni di euro in trasporti e assicurazioni, si impacchetta l’arte e la si fa viaggiare nei bagagliai degli aerei. Tutti i curatori di musei sanno che anche a spostare un’opera da un piano all’altro si corre un rischio.

Lo spiega bene Jean Clair in un libro coraggioso e addolorato in uscita da Skira in autunno, La crisi dei musei: «La deriva mercantile trasforma l’arte in spettacolo e i musei in luna-park... I musei diventano cenotafi, simulacri vuoti, per ora in affitto ma presto forse anche in vendita...».

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