Treviso, cane muore di malattia Il padrone s’impicca col guinzaglio

da Treviso

Non serve alcuna la lettera, non serve alcuna spiegazione. La firma in calce alla sua disperazione è rappresentata da quel guinzaglio scelto come strumento di morte e come ultimo saluto all’amato bulldog che, un mese fa, l’aveva preceduto nel viaggio verso l’aldilà. Alberto (nome di fantasia), 50 anni, non poteva vivere senza il suo amico di tante giornate trascorse senza un’apprezzabile compagnia umana. L’aveva confidato a un suo conoscente: «Senza il mio cane mi sento perso». E così nello scorso weekend, rischiarato dal primo solleone capace di svuotare ancora di più il centro di Conegliano, Alberto l’ha fatta finita. A quel guinzaglio non poteva più legare l’amico di tante passeggiate, e così se l’è stretto attorno al collo, l’ha legato a un gancio del soffitto e s’è lasciato cadere.
Conegliano è una città ricca, in cui la solitudine si riesce a mascherare molto bene. Si può sparire senza farsi notare. Alberto era stato aggredito dalla depressione all’inizio dell’anno, quando i primi segni del male si erano fatti vedere su quell’animale pacioso e tranquillo. Il responso del veterinario era stato inappellabile, non lasciava speranza alcuna. Eppure Alberto aveva deciso di provarle tutte, magari trascurando anche il lavoro. E infatti il lavoro aveva finito per perderlo, preso com’era a curare il cane.
A una delle poche persone cui ogni tanto parlava, l’aveva detto più volte: «Senza la compagnia del mio bulldog non riesco a tirare avanti, spero proprio che il veterinario si sia sbagliato. Devo salvarlo, farò di tutto per salvarlo. Non saprei come andare avanti se lui se ne andasse». Per questo il conoscente si è allarmato quando, ai primi di maggio, il cane è morto. Aveva parlato con il cinquantenne e l’aveva visto disperato. Per alcuni giorni si erano sentiti e il confidente si era accorto che la depressione stava progredendo paurosamente, che la disperazione si stava impossessando di quell’uomo ormai privo della sua unica ragione di vita. Ha tenuto i contatti, proprio per cercare di dargli una mano. Una mano, però, che l’interessato non aveva alcuna intenzione di prendere.
Sono bastati pochi giorni senza contatti per allarmare l’amico. «Non l’ho sentito per giorni - ha detto ai carabinieri - e lui non rispondeva alle mie chiamate». Di qui la decisione di andare di persona a casa sua, nel centro di Conegliano. Inutile suonare il campanello, nessuno poteva rispondere.

Si è fatto forza, è entrato in casa, l’ha chiamato ma Alberto aveva già raggiunto il suo bulldog. Il suo corpo penzolava dal soffitto, appeso al gancio grazie a quel guinzaglio che, fino a pochi mesi fa, era stato l’unico collegamento con quella strana, volubile cosa che si chiama felicità.

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