CLAUDIA GUALDANA
Il suo nome è Ermete Trismegisto,
uno degli autori più citati nella storia della civiltà. Anche se il misterioso estensore del Corpus Hermeticum in realtà è un personaggio mitico, il cui nome è composto dalla traduzione greca di Toth, il dio egizio della luna, della scrittura, messaggero degli dèi e guida degli umani nel lungo viaggio nell’oltretomba. E da Trismegisto, tre volte grande, appellativo che ne conferma la forza e la rilevanza gerarchica nel pantheon egizio. Il Corpus Hermeticum è probabilmente il risultato dell’assemblaggio di diciassette trattati di provenienza diversa in greco, latino e copto (riuniti non prima dell’XI secolo), che riflettono concezioni mistiche e teologiche dell’Egitto ellenistico. Per lunghi secoli fu considerato un libro «ispirato», in cui erano racchiusi i segreti dell’ermetismo pagano. Un’opera carismatica, in qualche modo proibita, espressione di una concezione dell’uomo e della divinità distanti sia dalla razionalità greca, sia dal cristianesimo. Classico tra i classici, negli ultimi decenni ha conosciuto commenti e ristampe generosi, ma non la completezza filologica di quest’ultima edizione (Corpus Hermeticum, Bompiani, pagg. 1.628, euro 35; a cura di Ilaria Ramelli) condotta sulla base dell’edizione di Nock e Festugière (Paris, 1945-54), la più rigorosa, e completata dalla scoperta dei testi in copto di Nag-Hammadi. Si tratta di alcune parti dell’Asclepio, un trattato intitolato L’ogdoade e l’enneade rinvenuto nel 1945 sotto forma di codici databili tra il II e il III secolo dopo Cristo, in Egitto. Il Corpus sembrava essere stato restituito nella sua forma integrale fin dal Rinascimento, quando il monaco Leonardo da Pistoia lo ritrovò in Macedonia sotto forma di manoscritto, per portarlo con sé a Firenze, presso la corte medicea. Fu il suo più prestigioso ammiratore, Marsilio Ficino, neoplatonico e grande filosofo dell’epoca, a tradurlo integralmente in latino. Invece, ai trattati oggi conservati alla Biblioteca Laurenziana di Firenze, erano destinati ad aggiungersi altri frammenti in lingua greca scoperti nel Cinquecento, oltre a quelli di Nag-Hammadi. Insomma, un testo che continua a far parlare di sé. D’altra parte, la statura intellettuale degli estimatori depone a favore di questo monumento alle concezioni filosofico-teologiche dell’ellenismo, troppo spesso tacciato di scarsa originalità dai suoi detrattori. Oltre a Ficino, che in Ermete vide la sintesi della conoscenza mistica degli antichi, Giordano Bruno, ma anche Paracelso. Durante il medioevo, Ermete Trismegisto fu considerato un depositario della gnosi e della mistica pagane, in cui si potevano rintracciare le conoscenze esoteriche e magiche di quella nobile civiltà scomparsa. E se Sant’Agostino ne contestava l’idolatria, un più malleabile Alberto Magno ne apprezzava la ricerca mistica della riunione con Dio. Per non parlare di nostalgie per il mondo antico e fascinazioni alchemiche, di cui la cultura medioevale è intrisa e che in Ermete vide sempre un punto di riferimento. Oggi il Corpus ha ancora molto da raccontare, con la semplicità diretta della sua prosa e l’eloquenza dei contenuti, che molto dicono a proposito delle credenze degli antichi in materia di cosmogonia e culto del divino, ma anche della nobile concezione dell’essere umano, creatura a immagine e somiglianza di Dio. Con l’eclettismo tipico dell’ellenismo, riassume il pensiero greco popolare in un incontro di aristotelismo, platonismo, stoicismo, con alcune tracce di ebraismo e componenti iraniche.
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