«Troppe sfide fanno male ai film La vera sorpresa? Checco Zalone»

MilanoIl cinema italiano affronta la prova d’inverno, l'unica stagione ad assicurarle la sopravvivenza. Natale a Beverly Hills di Neri Parenti è a venti milioni d’incasso, mentre Io, loro e Lara di Carlo Verdone ha superato i tre nel primo fine settimana. Del lancio di questo film s’occupa lo studio Lucherini-Pignatelli. Ed è a Enrico Lucherini, decano degli addetti stampa italiani, autentico scopritore della generazione d’oro del cinema italiano, che chiedo la diagnosi per un’industria traballante nella crisi economica generale, prologo alla crisi sociale (che le gioverà: il biglietto del cinema costa meno del pedaggio autostradale). Come suo padre in medicina, in cinema Lucherini è luminare. Ci vive dai tempi del boom: proprio lui inventò e poi impose alla stampa mondiale quella recita improvvisata - come il Grande Fratello oggi - che fu all’origine del mito di via Veneto. E si occupò non a caso della Dolce vita di Fellini...
Così ora l'Ancci dedica alla carriera di Lucherini L’importante è stupire, volume collettivo di omaggi. Eppure Enrico il Grande ha avuto molto clienti e pochi amici. Sia cliente, sia amico è Giuseppe Tornatore, che nel libro rivela che fu il balilla Lucherini, classe 1932, a convincere il Duce alla guerra... perché si creassero le premesse del neorealismo! «Lucherinata» immaginaria? Ecco quella reale: nel 1963, non più balilla, ma già subdolo, Lucherini confida («Lo dico solo a te...») a Oriana Fallaci che Laurent Terzieff, interprete di Kapò di Pontecorvo, è emaciato perché leucemico. Induce così la Fallaci a raccoglierne in un’intervista le ultime volontà. Naturalmente nel 2010 Terzieff è sempre emaciato. E sempre vivo.
Signor Lucherini, due film italiani hanno superato la prova d'autunno. «Baarìa»...
«... Ha fatto in sala undici milioni, più di tanti kolossal americani, rimasti a otto o nove. Ma l’ha superato Checco Zalone, la grande sorpresa».
Il cinema italiano vive tuttora di exploit. E di un serial: il cinepanettone.
«Cercando l'exploit, o comunque l'incasso che permetta d’andare avanti, si sovraespongono gli attori. In pochi mesi tre film con la Chiatti, tre con Castellitto, tre con Scamarcio e sei con la Rohrwacher!».
Elio Germano è stato quasi bruciato in questo stesso modo.
«Infatti. Il pubblico vede uno, due film consecutivi dello stesso attore, poi si stufa».
Perché le uscite non sono scaglionate?
«Perché le distribuzioni si odiano l’un l’altra».
Solo per quello?
«Anche per pagare meno interessi passivi. Tenere fermo un film costa».
Gli attori non controllano l’uso altrui della loro immagine?
«È questione di personalità: Mastroianni, Gassman, Sordi non sarebbero mai andati a inaugurare un negozio o a fare una serata. Scamarcio & C. non se ne perdono una».
Chi se le perde tutte?
«Luca Argentero, il più avveduto».
In alta stagione i film s’ingorgano, «Io, loro e Lara», è già fuori perché «Avatar» aveva anticipato l'uscita.
«Avatar? L'ho visto a Belgrado. Dopo un’ora - ne dura quasi tre - sono uscito. Cameron è un ottimo regista, ma questo non è il mio film».
Avatar in anticipo nei cinema nuoce anche «Natale a Beverly Hills», ora in concorrenza con «Io, loro e Lara».
«Così Verdone ridurrà gli incassi di De Laurentiis, col quale dovrà girare i prossimi tre film!».
Il giornalismo influisce nel disagio del cinema?
«Quando Berlusconi definì Baarìa un capolavoro, prima della proiezione alla Mostra, una nota critica mi disse: “Bello o brutto, scriverò che è una me...”».
A proposito di Festival: Berlino ha respinto i film italiani che erano stati proposti.
«Sì. Il figlio più piccolo di Pupi Avati, La prima cosa bella di Paolo Virzì e Baciami ancora di Gabriele Muccino».
Virzì e Muccino in gennaio, Avati in febbraio. E in marzo che cosa vedremo?
«La nostra vita di Luchetti e Mine vaganti di Ozpetek. Spero che siano accolti bene, dopo le delusioni autunnali».
Qual è stata la peggiore?
«Il grande sogno di Placido».
Anche «Barbarossa» è andato male, del resto. Esauriti i filoni terrore/orrore, il nostro cinema è farse e commedie, commedie e farse.
«E mélo, come quelli del primo Ozpetek. Penso alla Prima cosa bella, con la Sandrelli, seguito di Io la conoscevo bene di Pietrangeli e di C'eravamo tanto amati di Scola...».
Chiarisca.
«Quello di Virzì è un mélo sentimentale, che si collega ai quei due classici: stesso personaggio, stessa interprete».
Virzì rilancerà la Sandrelli?
«Come fece Brass con La chiave».
Il genere erotico riaffiora qua e là.
«Sì, ma il film-tv di Sky su Moana è andato male».


E il filone scolastico-adolescenziale?
«Non era nuovo nemmeno quello. Brizzi ha solo rifatto Terza liceo di Emmer».
A proposito di lezioni: Messori dà del nichilista a Verdone.
«Lo dica, lo dica... Più si parla del suo film e meglio è».

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