Il turismo lombardo riscopre il Duce

(...) richiama a Dongo e dintorni chi, senza certi drammatici fatti, si acconterebbe di guardare in cartolina le rive del lago di Como. I comuni della provincia, che videro il passaggio e la morte del Duce fra 26 e 28 aprile 1945, hanno infatti ottenuto dal consiglio regionale una legge per valorizzare il «percorso storico-turistico», sostegno a un programma di valorizzazione sui fondamenti «dell'assetto della Repubblica democratica». Questa locuzione sarebbe più coerente, se parlasse «del decesso della Repubblica sociale», dato che i suoi disorientati gerarchi vennero qui non per la riabilitazione, ma per l'esecuzione. Di poco separato il luogo dell'ultimo atto per il Duce e la sua donna, che valeva molto più di lui: furono assassinati - si dice - davanti al cancello di una villetta a Giulino di Mezzegra...
In 65 anni, sono stati centinaia di migliaia gli italiani, curiosi o pellegrini, che hanno imboccato alla spicciolata quella strada tortuosa, così facile da bloccare che nessun reparto militare - meno che mai di un corpo scelto come le Ss - avrebbe dovuto imboccare, se voleva realmente proteggere il Duce, anziché avvicinarsi a qualsiasi costo al confine con il Reich. Insomma, per un tutti a casa non più brillante di quello del Regio Esercito meno di due anni prima. Ma da tempo l'efficienza dell'«alleato germanico» era una remota leggenda. Infatti il Duce aveva cercato di liberarsi dei suoi custodi tedeschi per tentare di sconfinare in Svizzera. Altra illusione, però: perché la Svizzera avrebbe dovuto accoglierlo, se aveva già respinto sua moglie?
È anche riproponendo questi quesiti, magari di concerto con le autorità del Canton Ticino, che quell'angolo di lago potrebbe diventare meta internazionale di turismo. E così avverrebbe forse il sorpasso sugli incassi di Predappio, dove quasi tutti dicono di essere (stati?) comunisti, ma dove tutti vivono del fatto che il Duce lì nacque, lì visse fino all'adolescenza e lì giace accanto alla moglie e ai figli da oltre mezzo secolo, quando finirono le peripezie milanesi del cadavere e quelle americane del suo cervello asportato per vedere se non fosse diverso da quello degli altri...
L'inno dei giovani fascisti si poneva due interrogativi: «Duce, Duce / chi non saprà morir? / Il giuramento / chi mai rinnegherà?». La guerra civile spagnola - combattuta dai fascisti dalla parte sbagliata, secondo fascisti non clericali come Filippo Tommaso Marinetti e Elio Vittorini - diede una prima risposta: molti avevano davvero saputo morire. E fu lo stesso nelle guerre contro Francia, Gran Bretagna, Grecia, Unione Sovietica, Stati Uniti: i disertori italiani nella seconda guerra mondiale furono, in proporzione, molto meno che nella prima.
Ma il 25 luglio 1943 avrebbe dimostrato che il bagno di sangue (i morti erano già stati oltre duecentomila) aveva temprato più gli italiani che i fascisti, molti dei quali rinnegarono il giuramento come si liberassero di un fardello. Fu per il disgusto di quell'opportunismo che certi non-fascisti o addirittura antifascisti (politici come Nicola Bombacci, scrittori come Marco Ramperti, attori come Osvaldo Valenti e Mino Doro, il figlio di un esule politico bastonato nel '22 come Giorgio Mario Bergamo) aderirono alla Repubblica sociale.

Nell'ampiamento del Museo della Resistenza di Dongo andrebbe previsto uno spazio per questo fenomeno nobile quanto, in senso opposto, il raro rifiuto di giurare fedeltà al Duce dei docenti universitari: dodici su oltre mille! Il sindaco di Dongo - si leggeva ieri sulla Provincia, quotidiano di Como - avrebbe detto che scopo dell'operazione fra comuni dell'Alto Lario e la Regione è favorire «un turismo destagionalizzato». Degna della precedente, «comune denuclearizzato», tale locuzione - se non fosse nata dalla penna delo cronista, confermerebbe che siamo un Paese deanalfabetizzato.

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