Tutti all’esame bignamino: corsa al ripasso dell'ultimo minuto

Nell’era del web i "bigini", àncora di salvezza per gli studenti di ogni generazione, continuano a godere di ottima salute. Ecco il perché, raccontato da Annamaria Bignami, nipote dell'inventore del "trucco" più amato dagli studenti italiani

Tutti all’esame bignamino: corsa al ripasso dell'ultimo minuto

Ma si usano ancora i bigini? Interrogato a bruciapelo lo studente risponde con l'occhiata divertita e un po’ offesa di uno che, a 17 anni suonati - età a quanto pare veneranda - si sente chiedere se faccia mai uso del pallottoliere, il calamaio, l'inchiostro simpatico e il grembiulino col fiocco. Cimeli. Anticaglie.

La risposta da dieci e lode arriva da quegli stessi che hanno il potere di far fioccare i voti: gli insegnanti. Cercando su Google, Wikipedia, nelle enciclopedie telematiche, nei siti degli editori, dicono, i ragazzi trovano in un attimo tutto quello che serve. Ma è una marea di materiale. Tutto da studiare. Servirebbe un timone, un salvagente, una scialuppa d'emergenza. Un breve giro di boa nella libreria scolastica sottocasa - per esempio il Libraccio sui Navigli milanesi, vero porto di mare per il traffico di libri usati - ce lo conferma. C'è grande smercio dei soccorrevoli, confortevoli libriccini: conforto ai discenti da 75 anni a questa parte.

Ma allora esistono ancora i bigini? Chiediamo all'ultima erede del padre fondatore - nel suo caso lo zio: Ernesto Bignami - che, professore di italiano, storia e filosofia, ebbe nel 1931 la bella pensata di inventarsi una casa editrice scolastica molto sui generis. Col piglio sicuro della prof abituata a tenere il timone e le redini dell'interrogazione, Annamaria Bignami subito ci corregge.
«Si dice bi-gna-mi-ni». Risponde compitando indulgente una parola che da un pezzo è entrata a tutti gli effetti nel vocabolario d'italiano (abbiamo confrontato Zingarelli e Devoto-Oli) e che lei, tra i detentori del copyright, non ammette di vedere storpiata. «Certo che esistono ancora. Sono tutti qui, in casa editrice (cioè a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano ndr), oltre che in varie librerie italiane. Internet non ci fa paura. Il manualetto Bignami ha una funzione diversa». Poi, in perfetto stile Bignami - diretto, esaustivo, sintetico e chiaro più del dizionario - spiega: «Il nostro è uno strumento per memorizzare, focalizzare, ripassare velocemente fino a un attimo prima di sostenere la prova. Il computer non te lo puoi portare fuori dall'aula. E forse nemmeno il cellulare, ormai così diffuso tra gli studenti, può essere in quel frangente un supporto. Non va, è troppo stringato, o troppo veloce. Poche parole chiave, per chi non sa, non aprono nessuna porta».

E che ci sarà mai nel Bignamino che non si trova sul web?
«In poche paginette c'è la visione del problema, gli elementi base, la griglia essenziale. È uno schema utile a sostenere chi non sa: e, interrogato, saprà dire almeno quello. Ottimo per richiamare alla mente di chi sa tutta l'articolazione della risposta. Internet ci è anzi d'aiuto. Abbiamo un sito (www.bignami.com), con il catalogo on line dei nostri prodotti, che ci rende immediatamente raggiungibili».

Tecnologicamente evoluto, il catalogo è cambiato nel tempo?
«Ma no. Le materie sono sempre le stesse. Ovviamente i manuali scolastici vanno sempre aggiornati. La nostra scuola di pensiero, soprattutto, è rimasta immutata. Il nostro metodo, l'approccio alle discipline è sempre quello. L'idea, dalle origini, non è mai stata di sostituirci ai testi di studio. L'intenzione con cui lo zio Ernesto fondò la casa editrice, era di pubblicare libretti per aiutare gli studenti in difficoltà. E avviarli poi ad altri testi più completi e esaustivi. Voleva aiutarli a capire: è questo il progetto - portato avanti da mio padre Lorenzo e da mio fratello Ignazio - che rende il bignamino inimitabile. I tentativi di copiarlo sono falliti. Lo specifico è che i nostri non sono riassunti. Sono sintesi».

Gli autori, chi sono?
«Tutti docenti. Insegnanti di liceo e professori universitari. Ma l'impronta finale, per evitare deformazioni professionali o professorali idiosincrasie, la diamo noi. Tanti manualetti, tutti ancora in catalogo, li ha scritti mio zio, che faceva il professore al Parini di Milano. Ha firmato il nostro titolo più classico: La Divina commedia che contiene testo originale di Dante, versione in prosa, commenti, indice dei nomi e richiami critici. Ha scritto i quattro volumi per l'esame di letteratura italiana, i cinque dell'esame di storia per le superiori. E I promessi sposi! Che non è un riassunto del romanzo. Sembra proprio di leggere Manzoni, condensato i meno di duecento pagine tascabili. In fondo non è importante leggere tutto… ».

Questo non bisogna dirlo troppo forte. Qualche prof c'è rischio che se ne offenda. Ma i vostri, per chi sta dall'altra parte della cattedra non sono libretti un po' pirata?
«C'era, devo ammetterlo, molta diffidenza da parte degli insegnanti. Prova ne è il nomignolo di "bigino", spregiativo rispetto al nostro simpatico diminutivo. Non capivano che i libretti non erano fatti per indurre a bigiare, ma per imparare meglio. Alla fine tanti professori dovettero riconoscerlo: se gli studenti, studiando sui bigini, passavano agli esami, significa che sapevano. Ora chi insegna ci viene a dire "studiassero almeno i bigini!". E molti l'hanno addirittura adottato a lezione».

Testi ufficiali, insomma, non più da usare di nascosto. Vedo qui però certi oggettini col look dei clandestini.
«Eh, sì. Oggi abbiamo schede e minischede: grandi come tessere telefoniche, visualizzano figure e teoremi, di geometria, tavole di morfologia latina, di anatomia umana, i verbi tedeschi, le date di storia, la mappa dell'aldilà dantesco».

Meglio dei bigliettini per copiare. Stanno nascosti in una mano…
«Un malintenzionato può in effetti usarli per copiare. Ma anche in questo caso la nostra intenzione è quella di visualizzare in estrema sintesi, al colpo d'occhio, tutti i passaggi di un problema. Che si dovrà pur saper sviluppare».

Come un tema da svolgere.
«Abbiamo anche quelli. Redatti come le tesine interdisciplinari della serie oro e molto apprezzate dagli insegnanti perché non danno temi svolti, ma solo spunti, suggerimenti, qualche chiave di ricerca».

Una cattiva notizia per chi cerca la soluzione?
«Tutt'altro. Una bussola di orientamento. Propedeutica anche per chi, entrando in università dovrà muoversi su terreni inesplorati. Per esempio uno che ha fatto l'istituto tecnico e si iscrive a ingegneria, o a lettere classiche. Come farà senza la grammatica latina? Senza un buon prontuario di matematica?».

E le monografie? Su Virginia Woolf, James Joyce? Buone per abbreviare le ricerche universitarie?
«Non è detto. Utili semmai a introdurre chiunque alla lettura dei grandi autori.

Le pubblichiamo un po' sull'onda dei nostri studi sui classici italiani, ormai non solo Foscolo, Carducci e Leopardi, ma anche Fenoglio, Sciascia e Buzzati. Chissà mai che, pilotati dal bigino, non venga voglia di leggerne per intero tutti i romanzi».

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