Se il mondo intero avesse potuto votare alle elezioni presidenziali americane, Barack Obama non avrebbe prevalso con pochi punti di scarto, ma almeno con una maggioranza dell’80 per cento. Con la notevole eccezione dello Stato di Israele, praticamente in ogni Paese del mondo il candidato democratico aveva infatti un larghissimo sostegno d’opinione pubblica, dopo otto anni di regno di George W. Bush, che per molti osservatori è già il peggior presidente nella storia degli Stati Uniti.
Più arduo il tentativo di chiarire le cause profonde d’una «Obamania» che subito è diventata «isterobamania». Le dichiarazioni all’indomani dell’esito del 4 novembre sono chiare su questo punto: l’elezione di Obama non è stata salutata da un coro d’approvazione quasi planetario perché lui sia giovane e simpatico, abbia un sicuro carisma, abbia fatto una campagna migliore dell’avversario repubblicano, abbia avanzato idee tali da sedurre un vasto elettorato. Ma per il colore della sua pelle. Europei e africani, soprattutto, hanno badato a un solo aspetto della sua vittoria: per la prima volta un politico nero (in realtà un meticcio) è entrato alla Casa Bianca.
Lascia attoniti la «razzializzazione» dei commenti, molto più forte fuori dagli Stati Uniti, che ha spazzato via ogni autentico giudizio politico. La cosa più notevole(o più rivelatrice) è che ha accomunato razzisti e antirazzisti, gli uni esasperati da quel che deliziava gli altri: l’arrivo d’un politico nero alla testa della maggiore potenza mondiale. Ma entrambi concordano nel dare importanza smisurata all’appartenenza razziale. Certi commenti sono stati impressionanti. In Francia, mentre il Conseil représentatif des associations noires (Cran) convocava una riunione «per salutare la vittoria d’Obama e chiedere a Nicolas Sarkozy di non dimenticare le rivendicazioni dei cittadini francesineri», si sono sentiti giovani francesi d’origine africana esclamare: «Finalmente abbiamo il nostro presidente!». E ancora: «L’esempio ci viene dagli Stati Uniti» (ignari che l’antillese Gaston Monnerville fu presidente del Senato francese fra 1959 e 1968, seconda carica dello Stato).
In Africa voci anche più numerose si sono alzate per predire che «Obama salverà il continente africano» e che il nuovo presidente si darà da fare per alzare il livello di vita dei kenioti, perché suo padre era nato in Kenia! Altri affermano che Obama è innanzitutto l’eletto dei cittadini neri americani e delle minoranze etniche. Altro errore.
Obama ha avuto del resto l’intelligenza di non far campagna sul colore della pelle e di non porsi come candidato degli afroamericani (categoria alla quale lui stesso non appartiene), errore che gli sarebbe stato fatale. Sì, ha avuto l’appoggio del 95 per cento dei cittadini neri, del 67 per cento di quelli ispanici (latinos) e del 62 per cento di quelli asiatici. Ciò non dovrebbe sorprendere, e qui non occorre negare l’importanza simbolica dell’elezione di un presidente nero in un Paese dove solo mezzo secolo fa c’era la segregazione. Ma non si dimentichi che, quando i candidati democratici erano bianchi, le stesseminoranze etniche votavano già democratico a larga maggioranza. Obama del resto ha avuto il voto del43 per cento dei bianchi (contro il 55 per cento a McCain), cifra non trascurabile.
Dal 1964 di Lyndon Johnson, nessun democratico ha mai raccolto i voti della maggioranza degli elettori bianchi. Ora non solo Obama non ha attirato su di sé meno «voti bianchi» degli ultimi tre candidati democratici alla Casa Bianca, ma ne ha avuti di più. Molto simboliche al riguardo la vittoria in Virginia (che ospitava la capitale dei sudisti nella guerra di secessione) e quella nell’Ohio. Peter Wallsten, sul Los Angeles Times, l’ha giustamente notato: «I bianchi americani hanno avuto un ruolo decisivo nel mandare un presidente nero alla Casa Bianca».
Obama è in realtà riuscito a convincere ogni categoria sociale e, se è stato eletto, è in primo luogo per aver saputo unire ben oltre il colore della pelle. Infine non va dimenticato che Obama non è stato eletto presidente dell’Africa, segretario generale dell’Onu o redentore dell’umanità, ma presidente degli Stati Uniti, con l’unica missione di difenderne gli interessi.Tenuto conto degli oneri storici e geopolitici, non basterà che lui sia un cittadino nero perché l’America torni a convergere con l’Europa.
Il presidente russo Dmitri Medvedev è per il momento il solo ad averlo capito. Obama eredita una situazione catastrofica, che ha favorito la sua vittoria (il vero sconfitto del voto non è McCain, è Bush), ma che ora è la principale difficoltà da fronteggiare. Sarà giudicato per gli atti, non per l’appartenenza razziale.
Per riuscirci non dovrà scegliere fra la «politica bianca » e la «politica nera», categorie che non corrispondono a nulla. Dovrà solo fare buone scelte politiche. Sapere se ci riuscirà è un’altra storia.Alain de Benoist
(Traduzione di Maurizio Cabona)
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