Tutti i guai di Obama, ora è a corto di soldi

Il candidato democratico sconta la decisione, presa dopo la vittoria sulla Clinton, di rinunciare a 80 milioni di dollari di finanziamenti pubblici. E negli 11 Stati finora incerti sull’esito del voto di novembre, molti di più rispetto all’elezione di quattro anni fa, i democratici perdono consensi

Tutti i guai di Obama, ora è a corto di soldi

Ha chiesto a Jon Ben Jovi di organizzare una cena in suo onore. Costo a testa: 30.800 dollari. Supplica Caroline Kennedy e il governatore del New Mexico Bill Richardson di convincere i loro ricchi amici di versare un obolo, possibilmente generoso, e intanto moltiplica gli appelli via internet, sempre più insistenti, circostanziati, angosciati. Barack Obama, in queste giornate per lui infauste, ha scoperto di avere un problema in più, ben più inquietante della rimonta nei sondaggi di McCain o della formidabile popolarità di Sarah Palin: rischia di rimanere a secco nella fase finale della campagna elettorale. E questo mentre il suo rivale continua a raccogliere milioni di dollari senza nemmeno chiederli; arrivano da soli, secondo i canali tradizionali, e in buona parte direttamente dallo Stato.

Obama, invece, nei giorni dell’euforia della vittoria su Hillary, aveva deciso di rinunciare alle sovvenzioni pubbliche, stimate a un’ottantina di milioni di dollari. Era persuaso di poter sopperire attraverso le sottoscrizioni dei suoi fan, il che gli consente di sottrarsi alle limitazioni imposte dallo Stato a chi riceve l’obolo elettorale. Si immaginava libero e ricco e per qualche tempo lo è stato davvero: i fondi raccolti online hanno continuato a crescere. Ora però è scattato l’allarme rosso, non tanto per colpa del popolo di Internet, che continua a versare copiosamente, ma per la latitanza dei gruppi economici tradizionalmente vicini al partito democratico.

Il bilancio di agosto è sconsolante: appena 13 milioni, quattro in meno dei 17 raccolti in luglio. Insomma, l’establishment non lo sta aiutando, soprattutto quello vicino a Hillary Clinton, che nonostante la concordia palesata alla convention di Denver, non ha ancora digerito la sconfitta alle primarie. E forse in queste ore Obama si sta pentendo di non aver scelto l’ex first lady come vice. Le stime rivelate ieri dal New York Times sono inequivocabili: Barack e il partito contavano di raccogliere tra luglio e ottobre oltre cento milioni di dollari al mese, ma per ora ne incassano mediamente appena 77.

Insomma, sono sotto di oltre un quinto. Ce la farà Obama a recuperare? Di certo di quei soldi ha maledettamente bisogno, anche perché rispetto alla sfida tra Bush e Kerry di quattro anni fa, oggi sono molto più numerosi gli Stati in bilico: ben undici. È l’altra pessima notizia di queste ore. John McCain è riuscito a conquistare molte simpatie tra gli elettori indipendenti, ribaltando i rapporti di forza rispetto a una settimana fa: prima delle convention il 60% degli indecisi pendeva dalla parte di Obama, ora il 52% predilige il candidato repubblicano.

E ancora meglio va fra le donne: quelle democratiche hanno, come previsto, rifiutato la Palin, troppo conservatrice per loro soprattutto in tema di aborto; ma la governatrice dell’Alaska ha conquistato, almeno per ora, la maggior parte delle elettrici non affiliate, sensibili più al fascino del personaggio che alle sue idee. Sarah mamma, Sarah moglie, Sarah virtuosa e combattiva donna in carriera. Molte si identificano in lei, altre vorrebbero essere come lei. E l’effetto Palin trascina McCain, che con il passare delle ore scopre di essersi rafforzato anche in molti degli Stati in sospeso.

Nulla di definitivo, i distacchi tra lui e Obama sono marginali e possono essere ribaltati; però da ora in avanti cambia la prospettiva. I sondaggi a livello nazionale perdono di importanza, mentre gli strateghi elettorali mirano a conquistare il maggior numero di voti elettorali, che variano di Stato in Stato e sono attribuiti in rapporto alla popolazione. Vige la logica del maggioritario assoluto: chi vince prende tutto. La cifra magica è 270; per ora Obama è tendenzialmente sicuro di ottenerne 217, McCain 174, ma ben 147 vanno ancora attribuiti. Le ultime cifre diffuse dal sito di Real Clear Politics dimostrano l’urgenza di un colpo di reni da parte di Obama, che resta avanti in Pennsylvania (21 grandi elettori) e in Michigan (17), ma inizia ad arrancare in altri Stati della fascia industriale, come l’Indiana (11) e, sebbene di pochissimo, nell’Ohio (20) che nel 2004 diede la vittoria a Bush e che ora strizza l’occhio a McCain; come peraltro la Carolina del Nord (15) e la grandissima Florida (27), fatale a Gore nel 2000. Il candidato democratico allunga invece nel New Mexico (5), mentre i due sono di fatto alla pari in Colorado (9), Virginia (13), New Hampshire (4) e Nevada (5).

Stati dove complessivamente la classe media bianca e gli operai (i cosiddetti colletti blu) colpiti dalla crisi contano più degli elettori

giovani o di quelli di colore, che da settimane si iscrivono in massa alle urne, ma soprattutto in Stati dove la vittoria di Obama è scontata. Il loro slancio rischia di essere ininfluente.
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