«Ehm ... impulsivo?»
Sua Altezza Reale il Principe di Venezia Emanuele Filiberto Umberto Reza Ciro René Maria di Savoia ha l'incarico di trovarsi tre difetti e tre pregi. Si inizia dai difetti. Lui, a stento ne trova uno.
Altezza... le tocca.
(Sospiro e risata) «... Vediamo... Posso avere repentini cambiamenti di umore con persone che mi indispettiscono. Sono una persona che ama e che ama essere amata, che fa attenzione agli altri, una persona giusta, che ama le cose ben fatte».
Ma questi, se permette, sono pregi!
«Non mi aveva chiesto anche i pregi?».
Va bene. Parliamo del suo recente traguardo dei 50 anni, li ha compiuti il 22 giugno. Tempo di bilanci?
«Non credo molto nelle date, la vita è una questione di tappe. E per me adesso è il momento in cui sto costruendo qualcosa da lasciare alle mie figlie, Vittoria e Luisa».
Cosa significa per lei lasciare qualcosa alle proprie figlie?
«Ero solo un ragazzino quando sono tornato in Italia e all'epoca era molto difficile chiamarsi Savoia. In molti incolpavano la nostra casata di cose non vere e, del resto, una Repubblica nata nel 1946 anche grazie a dei brogli, doveva demonizzare i Savoia. Anche attraverso le mie apparizioni televisive ho cambiato un po' questa visione degli italiani: sono stato un principe sempre vicino alla gente, più aperto».
Insomma, un modo un po' più facile di chiamarsi Savoia...
«Di sicuro. Se Vittoria e Luisa vorranno vivere in Italia un giorno potranno farlo serenamente. Inoltre, grazie ai nostri ordini dinastici, al Gruppo Savoia e a tante altre associazioni monarchiche lascerò alle mie figlie anche una grande attività di beneficenza in Italia e all'estero».
Cos'è il Gruppo Savoia?
«È un gruppo di monarchici riuniti nello spirito dei principi patriottici, ha uno scopo culturale. I soci del Gruppo Savoia sono sempre stati vicini a noi quando eravamo in esilio, da bambino hanno costituito il mio legame con l'Italia. L'avvocato Santino Giorgio Slongo è un ottimo presidente che porta avanti il Gruppo Savoia, gli voglio molto bene».
Come ha vissuto la sua famiglia, quale ruolo hanno avuto le sue origini?
«Nato in esilio e con questo cognome, ho sempre avvertito quasi l'obbligo di dovermi spiegare, di chiedere scusa. E quando ho dovuto l'ho fatto, ma solo perché me lo sentivo. Ad esempio per condannare le leggi razziali ho trovato normale scrivere una lettera alla comunità ebraica poco tempo fa condannandole».
È innegabile comunque che il suo cognome l'abbia comunque anche aiutata.
«Assolutamente sì, non lo posso negare e non voglio farlo. Mi ha aiutato: negli affari, nel mio lavoro, con le conoscenze. È senz'altro bellissimo poter frequentare grandi e potenti di questo mondo. Il nome Savoia l'ho sempre utilizzato come una forza. E dopo cinquant'anni posso dire che ho vinto».
Cosa significa che lei ha vinto? Che è riuscito a entrare nel cuore della gente?
«Gli italiani per strada non mi chiamano Emanuele o Emanuele Filiberto: per tutti sono il principe, speriamo non quello di Machiavelli (risata). È un modo molto familiare di rivolgersi a me e se dimostra che sono entrato nel cuore delle persone è vero che anche la gente è entrata nel mio cuore. Attraverso le trasmissioni televisive hanno potuto constatare che non c'è mai stato un filtro tra me e loro. Per questo ho vinto: oggi ho finalmente una vita normale, sono una persona molto amata dagli italiani, posso tornare nel mio Paese, cresco le mie figlie e lavoro in modo normale».
I suoi genitori le riconoscono questo ruolo estremamente positivo che non può che andare a vantaggio dei Savoia?
«Tutti in famiglia me lo riconoscono: i miei genitori, con l'età, mi lasciano molte più responsabilità. Noi Savoia siamo una famiglia molto legata. Io con le mie zie, i cugini, le cugine ci sentiamo spessissimo, lavoriamo insieme. Loro vengono negli ordini dinastici, ne fanno parte. È bello».
A proposito di potenti: chi l'ha più impressionata tra quelli che ha incontrato?
«Giovanni Paolo II aveva un carisma, un'aura speciale attorno a sé, era un vero santo. Anche la regina d'Inghilterra, Elisabetta II, è una donna incredibile e a suo figlio, il principe Carlo, voglio bene davvero».
Chi è un buon principe e cosa fa?
«Un buon principe innanzitutto ama la sua gente e vuole fare qualcosa di concreto per il suo Paese. Quando ho creato la Fondazione culturale Emanuele Filiberto mi sono ispirato a mia nonna, la regina d'Italia Maria José, che mi ha insegnato tantissimo. Era un'artista, ma soprattutto una donna molto all'avanguardia, con una incredibile personalità».
Ci parli di questa nonna così speciale, del vostro rapporto.
«Da bambino mi parlava dei suoi incontri eccezionali: da Gabriele D'Annunzio, a Benedetto Croce, fino ad Adolf Hitler. È stata una donna al centro della storia, che ha voluto fare molto per l'Italia e per il suo popolo. Totalmente antifascista, lavorava molto con la Resistenza italiana. Quando era in Svizzera faceva passare anche delle armi in Italia per aiutare i partigiani. Più volte ha messo in gioco la sua persona per proteggere gli italiani. Sarebbe stata un'ottima regina, avrebbe potuto dare tanto all'Italia».
Che cosa ha cercato d'instillare di lei nelle sue figlie?
«La libertà, l'essere e il sentirsi liberi, fare quello che ci si sente di fare, ma con tanta volontà e andare avanti comunque, anche contro le avversità. Luisa ha 16 anni e studia in un collegio a Oxford; Vittoria, 18 anni, ha una sua visione del mondo molto interessante, studia a Londra Scienze Politiche ed è appena andata al confine con l'Ucraina insieme ai volontari dell'associazione Odissea della Pace per consegnare cibo, medicinali e giochi ai rifugiati».
Cos'è l'amore rispetto al lignaggio?
«L'amore va al di sopra di tutto. Tra famiglie reali un tempo c'erano matrimoni organizzati. Oggi non c'è più bisogno di questo. Molti dei discendenti delle famiglie reali - guardiamo alla Spagna, al Belgio, all'Inghilterra - hanno sposato persone che amavano. Altrimenti nella vita non si va avanti».
I social? Sua figlia Vittoria è una «royal influencer». Lei come li utilizza?
«Li uso giusto per parlare delle mie iniziative, non certo per mettere in piazza la mia vita privata. È una mia scelta naturalmente, non è che giudichi chi li adopera altrimenti».
Che cosa rappresenta per lei l'isola di Cavallo? Il 18 agosto 1978, suo padre, Vittorio Emanuele, dopo una lite con il miliardario Nicky Pende, sparò con un fucile. Si disse che fu uno di quei proiettili a uccidere uno studente tedesco di appena 19 anni, Dirk Jeerd Hamer, che stava dormendo con gli amici su un'imbarcazione vicina.
«Cavallo per me è il paradiso in terra, un luogo di vacanza che frequento da quando sono nato. Un luogo però anche legato a un momento molto difficile della nostra vita. Purtroppo a farne le spese è stato un ragazzo che nulla aveva a che vedere con quanto era accaduto. Abbiamo dovuto batterci per la verità. E solo dopo molti anni mio padre è stato totalmente scagionato. Alla fine, grazie a una serie di elementi incontrovertibili, la Corte popolare francese ha stabilito che non era stata la sua arma a sparare il colpo fatale a Dirk Hamer».
Lei vive tra Monte Carlo, Los Angeles e Parigi dove sua moglie, Clotilde Courau fa l'attrice di teatro e cinema. Qual è il segreto della vostra unione?
«Credo sia fondamentale avere un dialogo profondo e vero con la persona con cui si sta. La fedeltà è qualcosa di molto importante, ma in un matrimonio, l'importante è comunicare. Le infedeltà fanno parte dei rapporti. L'importante è poterle superare e far sì che questo non distrugga 20 anni di matrimonio. E parlo dell'infedeltà di entrambi. Ho un grandissimo rispetto per le donne, parlare con loro rappresenta spesso una esperienza salvifica perché sono migliori di noi in tutto. Penso che un marito soprattutto non debba mai dare nulla per scontato, far sì che ogni giorno sia veramente un nuovo giorno».
La vostra coppia è molto riservata. Ogni tanto qualcuno ipotizza che vi siate lasciati...
(Risata) «Anche il fatto di non vivere in Italia è stata per me una scelta di riservatezza. Non sono mai entrato negli schemi italiani della popolarità, quelli dei giornali, dei gossip, inorridisco all'idea di organizzare finte paparazzate, sono cose che non mi interessano. Desidero proteggere le mie figlie, il mio matrimonio e la mia vita».
Negli Usa lei ha una attività di street food che prende il nome dal suo titolo nobiliare, Prince of Venice...
«Ho avuto questa idea di vendere pasta fresca nelle strade con tutti i nostri sughi originali. È andata molto bene. Da lì abbiamo aperto dei ristoranti, ne abbiamo uno a Los Angeles dove ne stiamo aprendo un altro, uno in Arabia Saudita, stiamo aprendo a Montecarlo e ci allargheremo ancora anche in America».
La sua opinione sull'Italia in questo momento.
«La politica italiana mi preoccupa molto. Draghi è molto rispettato all'estero, è intelligente, uno dei pochissimi statisti in grado di mandare avanti le riforme giuste con i fondi giusti. Purtroppo - a causa di una politica e di politici provinciali, a mio avviso concentrati su temi populisti e compiacenti - non gli è stata rinnovata la fiducia. Adesso si andrà al voto e sono molto curioso di vedere cosa accadrà: è sempre facile criticare e dire la propria quando non si hanno in mano le redini del potere. Quel che è sotto gli occhi di tutti è che dalla proclamazione della Repubblica italiana, nel 1946, a oggi, in 76 anni, ci sono stati 66 governi. Come si può far andare avanti un Paese con questi giri di valzer che giovano solo a politici bisognosi di poltrone e non agli italiani... Che tristezza!»
Potrebbe esistere una monarchia in Italia oggi?
«Oggi in Italia una monarchia non c'è. Ragionare su dei se o dei ma è impossibile. Potrebbe esserci? Sì, naturale, come in Spagna e come in Inghilterra e come in Svezia: tutte le monarchie europee funzionano molto bene».
Lei è un principe senza regno, senza trono. C'è qualcuno nella sua famiglia che, in caso di successione, ha messo in discussione il suo ruolo, i suoi diritti. Cosa ne pensa?
«Parliamo del ramo Aosta, immagino, il ramo cadetto della nostra casata che, dall'epoca di mio nonno e di mio bisnonno, ha sempre voluto avere una sorta di protagonismo su questo argomento. Vede, la questione si può affrontare sotto diversi punti di vista, ma il figlio del re d'Italia è mio padre. Il titolo mi è stato dato dal nonno, gli sono stato molto vicino fino alla fine. È vero: non c'è nulla di scritto. Anche se in seguito è stato molto facile per qualcuno accampare diritti e dire la propria: mio nonno non c'era più, era morto. Nel libro-autobiografia di Amedeo d'Aosta è lui stesso che, dopo la morte di mio nonno, ha detto io sono terzo nel lignaggio, prima di me ci sono Vittorio Emanuele e poi Emanuele Filiberto. Guardi: io sono per tenere unita la famiglia Savoia e voglio bene ad Aimone, è una persona che stimo, intelligente e sono sicuro che un giorno potremo lavorare insieme. Bisogna che queste pretese inutili non fondate scompaiano. Noi gestiamo gli ordini dinastici dall'83, facendo solo beneficenza. Abbiamo delle delegazioni in tutte le regioni d'Italia, aiutiamo le popolazioni locali, abbiamo 17 delegazioni estere, siamo più di 4mila membri, sta andando benissimo e ognuno deve fare quel che deve fare. Anche per le altre monarchie straniere il pretendente al trono è sempre stato mio padre».
Passiamo ad altro. Lei ha partecipato a tanti spettacoli televisivi. L'esperienza che sotto questo profilo ha amato maggiormente e la persona che ha avuto modo di apprezzare di più?
«Condurre Pechino Express è stata una esperienza molto bella perché io amo molto il viaggio. La persona con cui ho legato di più è senz'altro Maria De Filippi. È molto intelligente ed è bello lavorare con lei».
Ci racconti una sua giornata tipo.
«Mi sveglio verso le 6, corro, faccio palestra, poi vado in ufficio, mi occupo dei miei affari e di quelli del mio casato e a fine giornata torno a casa, cena in famiglia o fuori e poi a letto».
Qual è il segreto per essere felici?
«Amare. Amare i figli, la moglie... Quando gli amori non sono ricambiati è davvero un peccato».
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