Si chiamava Fritz, come, in senso spregiativo, nella Prima guerra mondiale i nostri fantaccini chiamavano gli omologhi tedeschi, e come, nel racconto Golia di Fenoglio, il popolo ribattezza il tedesco antagonista dell'italiano Carnera; antagonista sì, ma ben lontano dallo stereotipo del crudele membro delle SS. Aveva la faccia da mediano del Bayern, era biondo e con gli occhi azzurri, ma non molto alto, sul metro e settanta. Suo padre fu dichiarato disperso in Polonia durante la Seconda guerra mondiale quando lui, il nostro Fritz, era un bimbetto.
Fritz Wepper, morto ieri a 82 anni, aveva proprio tutto per essere una goccia nel mare della tedeschitudine, quella che si disperde in vacanza sul e dentro il lago di Garda e che diventa rosso carminio in volto se osa tradire la birra per un bicchiere di Bardolino: il tedesco sempliciotto, ingenuo, impiegatizio, Arbeit, Arbeit, Arbeit ma nel senso buono. Quella goccia aveva dunque bisogno di cadere nel calice giusto, per diventarne complemento e completamento. Il calice lo trovò, si chiamava L'ispettore Derrick, 281 episodi di un'ora precisa precisa, indistruttibili e replicabili all'infinito come una Volkswagen. Di Horst Tappert, che sfiorava il metro e novanta, Wepper era la spalla ribassata, sempre un passo indietro, il segretario, il braccio non armato, il giovane apprendista al servizio del maturo datore di lavoro. Promosso da fantaccino a ispettore, dal capo dipendeva in tutto e per tutto.
Mai una parola fuori posto, mai un gesto stizzito, mai un'iniziativa nel condurre le indagini, al limite, qualche timido ammiccamento alla bella fräulen di turno. Derrick aveva la flemma del saggio, Wepper la saggezza del sottoposto ma non succube. Derrick era l'attesa, Wepper ne scandiva i tempi.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.