Ugo dalle ricette choc allo Scolapasta d'oro

Ogni estate la villa di Torvaianica diventava sede di cene con gli amici e di un mitico torneo di tennis.

Ugo dalle ricette choc allo Scolapasta d'oro

«Grandissima cagata». Ugo Tognazzi amava cucinare per gli amici e poi chiedere un giudizio anonimo vergato su apposito biglietto. L'attore era sportivo, accettava critiche al suo operato da cuoco ma quella stroncatura scatologica di una pasta e fagioli non la prese tanto sul ridere. Quando gli ospiti se ne furono andati, decise di consultare un grafologo: gli indizi conducevano al «feroce» Paolo Villaggio ma non c'era la pistola fumante, la prova inconfutabile.

Ugo Tognazzi si circondava delle persone che amava: la famiglia allargata e i colleghi con i quali aveva raggiunto il successo, dalle piccole compagnie di Cremona, città natale, alla Palma d'oro al festival di Cannes, passando per pagine indimenticabili della commedia all'italiana che, nel suo caso, sarebbe meglio definire, alla Balzac, «commedia umana».

Nessuno ha osato tanto come Tognazzi: con Raimondo Vianello ha rivoluzionato la prima serata televisiva. Fu cacciato per uno sketch, oggi innocuo ma all'epoca scandaloso, sul presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, cascato per terra durante una serata alla Scala con Charles De Gaulle. Con Marco Ferreri soprattutto (ma non solo) ha rivoluzionato il cinema, accettando ruoli «impossibili» come l'imbroglione senza scrupoli protagonista di La donna scimmia. Con Dino Risi, Mario Monicelli, Pupi Avati e tanti altri fuoriclasse della regia ci ha consegnato un campionario completo dell'essere «italiani». E non dimentichiamo che alla fine degli anni Ottanta, a un'età in cui si tirano i remi in barca, Tognazzi è tornato al teatro, recitando Pirandello in francese a Parigi (risposta del pubblico: venti minuti di applausi).

Se tutto questo non bastasse, Tognazzi era anche un genio della provocazione. Ai tempi del terrorismo, si discuteva dell'esistenza di un grande vecchio, un oscuro manipolatore delle Brigate rosse. Il Male, periodo satirico, architettò un magnifico scherzo e mandò in stampa la riproduzione di testate autorevoli (Paese sera, La Stampa) con un titolo scioccante: «Arrestato Ugo Tognazzi, è il capo delle Br». Al centro, una enorme foto di Ugo in manette, circondato da falsi poliziotti. Non era facile scherzare su un argomento simile. Ma la satira sarebbe soltanto propaganda rivestita di battute se non si prendesse la libertà di rischiare tutto per sfidare il perbenismo. Ne uscì un putiferio. Tognazzi chiuse la vicenda con una frase da scolpire nella pietra: «Rivendico il diritto alla cazzata». Altri venti minuti di applausi.

Sede prediletta delle «adunate» di Tognazzi era la villa di Torvaianica. Qui l'attore si metteva ai fornelli e scodellava ai commensali piatti normali e piatti sperimentali. Le ricette d'autore si possono leggere in L'abbuffone (Avagliano, 1971). Provate magari il maial tonné o le palle di toro al Pernod o lo stinco di santo. Sconsigliata ai puristi della carbonara quella all'americana, con panna e cognac. Alle tavolate più importanti, ribattezzate: «L'ultima cena», partecipavano Piero De Bernardi, Leonardo Benvenuti, Mario Monicelli, Paolo Villaggio, Marco Ferreri. Una platea di tutto riguardo. Per Tognazzi, quelle serate erano una forma di spettacolo, da teatrante davanti a un pubblico di teatranti. Se lo spettacolo andava male, se non sentiva entusiasmo intorno al suo maial tonné, si arrabbiava, si arrabbiava sul serio. Ricorda il figlio Ricky Tognazzi: «Una volta esaurito il piatto, si passava alla cerimonia sacra del voto. Ognuno doveva esprimersi sulla base di giudizi fissati: ottimo, buono, mangiabile, cagata, grande cagata, grandissima cagata. Sia chiaro, si votava a scrutinio segreto» (Ugo. La vita, gli amori e gli scherzi di un papà di salvataggio, Railibri, 2020).

Nei sogni di Tognazzi, la terra acquistata a Torvaianica sarebbe dovuta diventare un vero e proprio villaggio, l'idea era rivendere a prezzo conveniente parte dei lotti agli amici più cari. Così Ugo non sarebbe mai stato solo, allontanando il malumore e la depressione. Alcuni accettarono, Raimondo Vianello e Luciano Salce, ad esempio.

Uomo goloso della vita in ogni suo aspetto, Tognazzi aveva il culto delle donne, verso le quali era infedele, e degli amici, verso i quali era invece fedelissimo. Ugo e le donne: «Amo le donne, non sarei capace di farne a meno. Ti danno entusiasmo e quando anche le lasci resta dentro di te una piccola parte di loro». Ugo e l'amicizia: «Ci credo nel modo più assoluto. L'amico è come il compagno di reggimento che in piena battaglia ti sta al fianco pronto a darti una mano. Nel cinema, a Roma? L'amico non esiste. Non l'avrai mai al fianco. Caso mai di fronte, pronto a spararti addosso». Non era tanto per dire. Tognazzi amava gli amici di sempre, quelli della gioventù. Molto prima che David Cronenberg decidesse di farne un film con Jeremy Irons, Tognazzi nel 1990 portò sul palcoscenico M. Butterfly, uno spettacolo difficile e controverso. Era una sfida ma anche l'occasione di re-incontrare il grande impresario Lucio Ardenzi: si erano conosciuti a La Spezia, durante la guerra, e avevano improvvisato un duo che si esibiva per i commilitoni. Quando la squadra di Cremona fu promossa in serie A, Ugo venne a festeggiare assieme al presidente Domenico Luzzara e scese anche in campo, andò sotto alla curva Nord che lo acclamava. Non partecipò alla festa solo per campanilismo, tanto più che era sposato col Milan, la Cremonese era l'amante. Il motivo era un altro: Luzzara era stato sua spalla sul palcoscenico del dopolavoro ferroviario. Un amico lontano col quale era bello condividere un trionfo.

Altro leggendario avvenimento legato al Villaggio Tognazzi era il torneo di tennis noto come Scolapasta d'oro, per anni (dal 1966 al 1994) ambitissimo. Chiara risposta all'Insalatiera d'argento della Coppa Davis, lo Scolapasta d'oro prevedeva l'invasione di registi, attori, sportivi che partecipavano al gioco ma soprattutto alla allegra convivialità dell'organizzatore, con cena e dopocena che si poteva prolungare fino alle cinque del mattino. Scene tramandate di bocca in bocca: Vittorio Gassman stende Anthony Quinn; Renato Rascel inveisce contro il compagno di doppio; Luciano Salce si dimostra infaticabile dal fondo; Giuliano Gemma sfoggia una classe limpida; Alessandro Haber si fa prendere dal nervosismo e insulta gli avversari; Luciano Pavarotti coglie tutti di sorpresa con un grande match in una gelida notte di settembre. Poi c'erano le improbabili volée del padrone di casa, le proteste per mai dimostrate combine, gli svarioni clamorosi, le risate in campo, le spaghettate notturne. Il torneo durava anche una settimana, con gran finale (inevitabilmente?) da film: Antony Quinn con la frusta, Philippe Leroy nei panni di mangiafuoco, Ugo Tognazzi a bordo di un elefante.

Poi torte giganti, mongolfiere, trampolieri, fuochi d'artificio. La cosa, iniziata come uno scherzo, era felicemente scappata di mano. Gli anni bui della Repubblica si avvicinavano. A Torvaianica si faceva il possibile per contrastare l'oscurità con la voglia di vivere.

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